Buza Péter: I Ponti sul Danubio - La nostra Budapest (Budapest, 1992)
d’oro. La maggiornaza degli elementi in ferro era fornita da fabbriche inglesi ma anche una fabbrica ungherese, quella di Dernő, ha contribuito al programma : una parte dei sostegni era stata prodotta in (Jngheria. E ognuno pagava per passare, all’insegna dell’uguaglianza cittadina, secondo le tariffe minu- ziosamente dettagliate, eccezion fatta per i militari. Ma anche questi erano stati limitati in qualcosa : fu dato 1’ordine severo ehe in marcia potessero passare il ponté solo in meno di dieci per volta. La ragione del prowedimento é da cercare nella struttura del Ponte a Catene ehe raggiungeva il livello tecnico dell’epoca ma non riusciva a superarlo naturalmente : cioé nel fatto ehe per I’insufficienza della rigiditä dei sostegni que- sto tipo di ponti tentennavano notevolmente rispetto alia loro posizione di base. Perciö ogni moto ritmico costituiva un pericolo notevole. Cio spiega anche il significato di un detto ormai dimenticato. La vita é come il ponté a catene — si diceva una volta. Perché anche la vita tentenna e comporta incertezze. Gli ingegneri poi hanno proweduto al probléma nel corso della ricostruzione degli anni 1913—1915, cosicché da allora attraversando il ponté a piedi non si sperimenta piü questo fenomeno ehe una volta dava un brivido ad ognuno. Ce ancora un altro episodio sul vecchio Ponte a Catene ehe non si puö ignorare : é la leggenda dei leoni senza lingua. Si dice che lo scultore rinomato, János Marschalkó, aveva scolpito i quattro leoni ehe custodiscono l’ingresso al ponté sulié due rive con questo brutto difetto. La favola vorrebbe ehe proprio durante la festa dell’inaugurazione uno stupido ap- prendista avrebbe proclamato ad alta voce il difetto delle sculture per cui la folia si sarebbe messa a ridere in modo che il maestro si sarebbe suicidato per la vergogna buttandosi nel Danubio. Le sculture famigerate erano state approntate per il 1852 : l’acqua ad alta pressione con cui si é proweduto alia pulizia delle statue ha messo in evidenza in occasione del restauro del 1973 le lettere calligrafiche incise sul piedistallo: «Marschalkó fecit 1852», ed era esistito veramente anche l’appren- dista, si chiamava, se é verő, Jakab Frick. Forse aveva anche esclamato qualcosa durante la festa d’inaugurazione, ma la reazione sicuramente non aveva rag- giunto i toni tragici da hallata popolare. Tanto menő perché i leoni le lingue ce le hanno. Ritirate profondamente nella cavitä della bocca, dietro i denti si intrawedono benissimo, se qualcuno si vuole far lo sforzo di arrampicarsi abbastanza in alto per assicurarsene. Naturalmente Marschalkó aveva ap- portato tutti gli argomenti per spiegarsi. Ha scritto diversi articoli sulla morfológia della lingua dei leoni, sul fatto ehe i gatti non sono come i cani e non mettono la lingua normal22