Folia Theologica et Canonica 10. 32/24 (2021)
Ius canonicum
90 JESU PUDUMAI DOSS, SDB (VFC48). É giusto, quindi, sostituire la vecchia “autoritá privata” con la nuova “autoritá spirituale”! Ispirato daH’insegnamento ecclesiale post conciliare (PC10 11 14, MRn 13), il Codice di diritto canonico dei 1983 proponeva una “autoritá spirituale” (VFC 50a, SAO 13a), evidenziando 1’origine divina e carismatica e la mediazione ecclesiale dell’autoritá religiosa: “I Superiori esercitino in spirito di servizio quella potestá che hanno ricevuto da Dio mediante il ministero della Chiesa” (can. 618). Pertanto, il fondamento evangelico chiarisce 1’obiettivo deli’autoritá spirituale: “come ogni autoritá nella Chiesa, anche l’autoritá del superiore religioso deve caratterizzarsi per lo spirito di servizio, sull’esempio di Cristo ehe ‘non é venuto per essere servito, ma per servire’ (Mc 10,45)” (SAO 14b). Avendo ricevuto la loro autoritá “da Dio”, i superiori sono chiamati - prima di tutto - ad essere “docili alia volontá di Dio” (can. 618). Quindi, “l’autoritá, per parte sua, deve ricercare assiduamente, con l’aiuto della preghiera, della riflessione e dei consiglio altrui, ciö che veramente Dio vuole. In caso contrario il superiore o la superiora, invece di rappresentare Dio, rischiano di mettersi temerariamente al suo posto” (SAO 12). Di conseguenza, i superiori e le superiore sono chiamati a mettere Dio al centro di tutto piú ehe se stessi. L’autoritá “spirituale” invita i superiori a facilitare anche una comunitá incentrata su Dio (SAO 17): “I Superiori attendano sollecitamente al proprio ufficio e insieme con i religiosi loro affidati si adoperino per costruire in Cristo una comunitá fraterna nella quale si ricerchi Dio e lo si ami sopra ogni cosa” (can. 619). Essi devono assicurare ehe la comunitá si avvicini a Dio “con i passi, piccoli ma costanti, di ogni giomo” (SAO 13b), dando “essi stessi con frequenza ai religiosi il nutrimento della parola di Dio” e indirizzandoli “alia celebrazione della sacra liturgia” (can 619). Un’autoritä spirituale, invece di fare affidamento solo su se stessa, dovrebbe promuovere “la concorde collaborazione (dei membri) per il bene dell’istituto e della Chiesa” (can. 618), ben sapendo che “che la comunitá é il luogo privilegiato per riconoscere e accogliere la volontá di Dió” (SAO 20e). Per consentire il “discemimento comunitario” (SVMC12 110-114), sono vitali i seguenti atteggiamenti: “la determinazione a cercare niente altro ehe la volontá divina”; “la disponibilitá a riconoscere in ogni fratello o sorella la capacitá di cogliere la veritá, anche se parziale”; “l’attenzione ai segni dei tempi”; “la libertá da pregiudizi, da attaccamenti eccessivi alie proprie idee”; “il coraggio (...) di aprirsi a prospettive nuove”; “il fermo proposito di mantenere l’unitá in 10 Cf. Conc. Vat. II, Decr. Perfectae caritatis (28 oct. 1965) [= PC], 11 Cf. SC. pro Institutis Vitae Consecratae et Societatibus Vitae Apostolicae - SC. pro Episcopis, Crit. dir. Mutuae relationes (14 mai. 1978) [= MR\. 12 Cf. Commissio Theologica Internationalis, La sinodalitá nella vita e nella missione della Chiesa (2 mart. 2018) [= SVMC\.