Folia Theologica et Canonica 6. 28/20 (2017)
IUS CANONICUM - Péter Erdő, Criteri di discernimento nell’attivita normativae di governo della Chiesa
66 PETER CARD. ERDŐ ciale con la realtà e non possono essere soltanto manifestazioni della pura maggioranza ottenuta in qualche ceto o assemblea.13 Così non possono essere completamente esposte al gioco degli interessi e dei desideri senza necessità di fondamenti più profondi. La scelta quindi che è compresa nella decisione o presupposta ad essa deve basarsi anche sul discernimento intellettuale e non solo sulla volontà. III. Criteri di discernimento nell’attività legislativa Come abbiamo detto, la decisione concreta sia giudiziale che “amministrativa” deve seguire in gran parte le norme giuridiche, scritte o non scritte, ma comunque sanzionate dalla comunità. Nel diritto canonico vigente si ribadisce che la potestà giudiziale “si deve esercitare nel modo stabilito dal diritto” (CIC Can. 135 § 3). Nell’elenco degli obblighi e dei diritti di tutti i fedeli il Codice di Diritto Canonico afferma che i fedeli hanno il diritto “di essere giudicati secondo le disposizioni di legge, da applicare con equità” (CIC Can. 221 § 2). I fedeli hanno il diritto “di non essere colpiti da pene canoniche, se non a norma di legge” (Can. 221 § 3). Quest'ultimo principio di legalità in materia penale mette ancor più accento sulle leggi che devono essere la base dell’applicazione delle pene. Da questi pochi esempi si vede già che la giustizia delle leggi sta alla base della giustizia delle decisioni giudiziali o comunque governative. Questo significa che, per il discernimento necessario alle decisioni nel governo pastorale, è di vitale importanza che la stessa attività creatrice delle norme sia basata non su opzioni arbitrarie, bensì su scelte maturate in un processo di giusto discernimento. Tale discernimento ha per scopo che le leggi siano giuste, manifestino la giustizia nel contesto sociale. Secondo la tradizione che risale all’antichità grecoromana, una proprietà essenziale della legge è che essa deve avere come scopo oggettivo - indipendentemente dalla volontà soggettiva del legislatore - il bene comune. Il buon legislatore deve legiferare tenendo presente la giustizia perfetta.14 Tale visione antica viene concretizzata nell’affermazione che la legge deve essere sempre diretta al bene comune, altrimenti non ha alcun vigore.15 In seguito alla crescente complicatezza della realtà sociale e delle conoscenze che le 13 Cfr. Hahn, J., Iustus iudex. Eine rechtstheoretische und theologische Annäherung an das kirchliche Richteramt, in De Processibus Matrimonialibus 21/22 (2014/15) 93-116, 100-101. 14 Cfr. Platon, De legibus, 630c. 15 Thomas a Vio Caietanus, Prima Secundae Panis Summae totius Theologiae D. Thomae Aquina- tis, Doctoris Angelici, Reverendissimi Domini Thomae a Vio Caietani commentants illustrata, q. 90, a. 2, ed. Augustae Taurinorum 1581. 381: “praecepta quae bono communi non subordi- nantur, praecepti vim non habent”; cfr. Erdő, P., Leggi ingiuste e libertà religiosa, in Angeli- cum 92 (2015) 7-18, specialmente 8.