Folia Theologica et Canonica 4. 26/18 (2015)

IUS CANONICUM - Bruno Esposito, O.P., La fede come requisito per la validitá del matrimonio sacramentale?

LA FEDE COME REQUISITO... 183 relative alla fede o alla sacramentalità. Per incidere sulla validità del matrimo­nio, non è dunque nella disponibilità dei nubendi altro che la possibile altera­zione della realtà naturale del coniugio, e dunque la dimensione reale e storica della relazione coniugale, calata nello stato di restaurazione del sacramento primordiale. L’oggetto della nostra riflessione deve dunque riguardare l’oggetto minima­le del consenso matrimoniale nell’ordine della creazione, e la sua obiettiva volizione o meno, da parte di battezzati cattolici o acattolici, credenti o non credenti. L’introduzione della forma tridentina ad validitatem fu in realtà una ricerca della certezza del diritto in ordine al consenso naturale ed alla sua pubblicità, e già quella suscitò “aspri ’’ dibattiti. L’introduzione di una dichiarazione di fede, invece, non costituirebbe una maggiore esplicitazione della natura del consenso matrimoniale, ma introdur­rebbe vere e proprie “manomissioni” dello ius connubii e dell’intenzione sac­ramentale. Conclusioni Quindi si può considerare doctrina recepta, che sia l’unione naturale dell’uomo e della donna (identica nello stato d’origine, infralapsario e redento) ad essere segno e significato dell’unione di Cristo con la Chiesa. Infatti, non appaiono ri­solti i problemi dottrinali fondamentali, che dovrebbero essere pregiudiziali a qualsiasi modifica dell’espressione dell’intenzione sacramentale, ossia: a) il problema del rapporto tra natura e sopra-natura nel matrimonio; b) il fonda­mento teologico del principio di identità e/o inseparabilità contratto-sacramen­to del matrimonio; c) la sufficienza o meno della volontà coniugale di diritto creaturale-naturale; d) la necessità o meno della positiva intenzione sacramen­tale matrimoniale del ministro e/o suscipiente, interna e/o esterna; e) il ruolo della fede personale, analizzato in relazione alla formazione del consenso; f) l’eventuale effetto del positivo rigetto (esclusione) della sacramentalità del matrimonio; g) la facoltà o meno della Chiesa di dichiarare nulli (o di impedire con dichiarazioni di fede imposte e dunque restrizione dello ius connubii) mat­rimoni rettamente posti quanto alla loro sostanza naturale-creaturale, ma con assenza di fede o con avversione alla dimensione esclusivamente sacra. In particolare, all’introduzione di una specifica forma ad validitatem ineren­te alla volontà di sposare nel Signore (e dunque una forma liturgica attinente alla fede personale dei nubendi), risulta assolutamente pregiudiziale la soluzio­ne del problema dottrinale se la fede sia obiettivamente ad substantiam del sac­ramento del matrimonio, ove non intendiamo solo un problema di validitas giu­ridica, ma di vera e propria sostanza sacramentale, sulla quale la Chiesa non ha alcun potere. Se tale eccezione apparisse legalistica, occorre considerare che

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