Folia Theologica et Canonica 4. 26/18 (2015)

IUS CANONICUM - Bruno Esposito, O.P., La fede come requisito per la validitá del matrimonio sacramentale?

184 BRUNO ESPOSITO, O.P. invece essa afferisca massimamente all’ambito pastorale. Non risolto difatti il problema dottrinale se la fede sia ad substantiam del sacramento e dunque es­senziale nella intendő sacrament alls, l’introduzione, con una legge meramente ecclesiastica positiva, di una qualsiasi forma liturgica ad validitatem inerente alla volontà di sposare nel Signore, potrebbe causare un’errata percezione sia della vera sostanza sacramentale, sia della necessaria intenzione sacramentale specificamente riferita al matrimonio. Appare poi segnatamente legalistica ed esclusivamente giuridica la soluzio­ne prospettata, che inciderebbe difatti solo sul piano giuridico della formula li­turgica ad validitatem (o di qualsiasi dichiarazione d'intenti da collocare in alt­ro momento) e non già su quello, come detto, non approfondito e risolto della sostanza sacramentale e dell’intenzione necessaria, appunto, ad substantiam. Si aggiungerebbe inoltre un’ulteriore occasio peccati per coloro che, seppure non completamente ben disposti sul piano soprannaturale, pur tuttavia inten­dessero dare e ricevere un consenso coniugale naturale totale e totalizzante, e dunque obiettivamente sacramentale, obbligandolo alla simulazione della for­mula liturgica ad validitatem. L'introduzione di ulteriori requisiti giuridici ad validitatem porterebbe quale indubbia conseguenza l'aumento esponenziale dei matrimoni obiettivamente nulli, ed esporrebbe conseguentemente all'ulte­riore problema pastorale di far vivere molte coppie nel peccato. Aumentereb­bero esponenzialmente anche i casi di matrimoni dall’incerta validità, col con­seguente dovere, per la Chiesa, di dire a due coniugi - ancora di più in presenza di crisi matrimoniale - se essi siano effettivamente sposati o meno nel Signore. Ove, infine, gli sposi non intendessero invece simulare, in assenza di fede, la nuova ed imposta formula, e dunque preferissero anzi non sposare coram Ecc­lesia, si restringerebbe il loro ius connubii, negando ai battezzati, per il solo fat­to che essi non hanno una fede matura, un istituto di diritto naturale, dalla Chiesa eppure pienamente riconosciuto anche ai non battezzati nella forma del matri­monio legittimo. L'introduzione di una nuova formula ad validitatem aggiungerebbe dunque solo i problemi sopra esposti, senza spostare di una virgola quanto accade già ordinariamente in ordine alle domande del processicolo. In sede di istruttoria nei processi di nullità del matrimonio, difatti, viene già richiesta giustificazione delle risposte date in sede di processicolo quali "perché oggi Lei si accusa di avere escluso l'indissolubilità, mentre invece in sede di processicolo dichiarò che si voleva sposare per sempre con la sua comparte, in quanto l’amava?”. La risposta, per qualsiasi capo di nullità, è sempre la stessa: “Se non avessi menti­to, il prete non mi avrebbe sposato”. L’introduzione di una formula ulteriore, cagionerà identica risposta: “Se non avessi letto la formula, il prete non mi av­rebbe sposato”. Appare dunque una obiettiva ed intrinseca irrationabilitas del­la proposta, la quale non solo non pare risolvere alcun problema, ma addirittura aggiungerne sul piano sia dottrinale, pastorale, sia della occasio peccati. Quanto

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