Folia Theologica et Canonica 4. 26/18 (2015)
IUS CANONICUM - Péter Erdő, Il parroco deve conoscere la lingua Dei fedeli - Osservazioni giuridico-canoniche a propositio delle Regole della Cancelleria (ss. XIV-XVI)
146 PETER CARD. ERDŐ Così Gômez arriva al delicato problema della presenza di due lingue nello stesso territorio. Distingue però tra lingua naturale52 del luogo e lingua “accidentale”, enumerando degli esempi per tale situazione. In Portogallo la lingua “naturale” è quella portoghese, mentre lo spagnolo (la lingua Castellana) è "accidentale”. Lo stesso molo ha lo spagnolo anche in Cantabria, dove la lingua naturale è diversa. In Sardegna la lingua propria è il sardo, ma come lingua accidentale è conosciuta anche il catalano per il commercio e per la vicinanza geografica. La questione è, se basta la conoscenza della lingua accidentale o è necessaria quella della lingua naturale. In questo punto diventano importanti le considerazioni dell'autore sulla funzione della lingua materna la quale non serve soltanto per la comunicazione di contenuti, ma crea anche un rapporto di fiducia e vicinanza. Per la soluzione del problema tuttavia egli non ribadisce questo rapporto emozionale, ma mette l’accento sul fatto che la lingua accidentale è conosciuta dai nobili e dai commercianti, ma non tanto dalla gente semplice, dalle donne e dagli artigiani, il parroco invece deve servire tutti nel miglior modo possibile, quindi non gli basta la conoscenza della lingua accidentale, ma bisogna considerare come richiesta nella rispettiva regola della Cancelleria la lingua naturale. Ciò viene confermato anche da una decisione della Rota53. Lo stesso sarebbe da dire anche quando il candidato è ben accettato per i suoi costumi e per la sua scienza, ma conosce soltanto la lingua accidentale, perché bisogna evitare qualsiasi pregiudizio alla salvezza delle anime dei fedeli semplici54. Risulta necessario pure che i due criteri indicati nella regola siano presenti congiuntamente e non in modo alternativo, cioè che il candidato capisca e sappia parlare in modo comprensibile la lingua locale, e non solo in parte, ma completamente. Quest’ultimo criterio, l’autore lo deduce dal fatto che nella regola si trova una clausola annullante (irritante) che introduce quindi una certa forma. Ma la forma si trasgredisce già attraverso un minimo difetto55. Nel senso della interpretazione larga della regola e in base alla sua necessità per la salvezza delle anime, l’autore ribadisce che essa si applica anche alle vicarie perpetue, anzi a tutti i “benefici curati” che richiedono simili attività che 52 La “lingua naturale” significava nella letteratura giuridica del s. XVI lingua materna. Così per es. Ioannes Calvinus (Kahl), Lexicon iuridicum iuris caesarei simul et canonici, feudális item, civilis, criminalis, theoretici ac practici, Coloniae Allobrogum 1612. 2775, v. Vernaculum (“unde vernacula lingua dicitur vei servilis, vel plebeia, qua tanquam communi ac naturali, ora- nes vulgo loquuntur. Linguam maternam hodie vocamus”). L’autore segue la definizione di Jakob Spiegel. 53 Gômez, b., Commentario in Regulas Cancellariae iudiciales, q. 9 nn. 1-2: foli. 63v-64r. 54 GÓMEZ, L., Commentario in Regulas Cancellariae Iudiciales, q. 9 n. 3: fot 64r. 55 Gômez, L., Commentario in Regulas Cancellariae Iudiciales, q. 8 nn. 1-2: fol. 63v (“facit c. defleat. de reg. iur. fX 5.41.9], Nani forma ita transgredi dicitur in minimo defectu sicut in magno [..Et hoc ulterius suadetur, quia in tex/tu/ duo copulative requiruntur, videlicet, quod intel- ligat et intelligibiliter loquatur: quorum alterum non sufficit”).