Folia Canonica 2. (1999)
PROCEEDINGS OF THE INTERNATIONAL CONFERENCE. - Péter Márton Antalóczy: Alsuni considerazioni sull'ufficio dei laici
370 PÉTER MÁRTON ANTALÓCZY Fede, e dall’altra il nuovo Codice, in modo particolare il c. 1421, § 2, ci sembra ehe il cooperari possa significare anche una vera partecipazione al potere di govemo. Di conseguenza secondo la nostra opinione 1’espressione cooperari non si limiterebbe soltanto ad un aiuto esterno all’esercizio del potere di govemo. Infatti secondo 1’interpretazione di Prof. Castano 1’espressione cooperare ha un significato perfettamente determinato, cioè “cooperare è operare con, insieme ad un altro, ma è sempre operare. Per contro, collaborare significa aiutare un altro ehe è Tunico che veramente opera. Di conseguenza, colui che collabora non opera”15 Ancora secondo la nostra opinione le possibili partecipazioni della potestas regiminis devono essere viste come eccezioni alia regola generale e per conseguenza, non si estendono a casi non previsti dal diritto stabilito dalFAutorità suprema. Di conseguenza: i laici non essendo titolari primari e regolari della potestà di govemo, devono essere chiamati dalFAutorità suprema, quindi la loro partecipazione o cooperazione ad normam iuris deve essere prevista esplicita- mente dal diritto. II dibattito teoretico è ancora aperto, comunque il c. 228 riconosce l’abilità fondamentale dei laici alia partecipazione dei munus regendi. In concreto: se idonei possono essere assunti dai sacri Pastori negli uffici ecclesiastici e negli incarichi ehe sono in grado di esercitare secondo le disposizioni dei diritto. Per quanto riguarda il nostro argomento possiamo osservare una contradiz- zione tra il c.274, §1, secondo il quale solo chierici possono ottenere uffici il cui esercizio richieda la potestà di ordine o la potestà di govemo ecclesiastico, ed i canoni 129, § 2 e 228 in quanto quesfultimi permettono la possibilità di attribuire la potestà di giurisdizione anche ai laici16. Per risolvere il problema è indispensabile lo studio del concetto stesso di ufficio. Dal canone 145 dei Codice Pio-Benedettino possiamo ricavare ehe Fufficio ecclesiastico in senso largo sia qualsiasi incarico esercitato per un fine spirituale, mentre in senso stretto un incarico, ossia munus, costituito stabilmante per disposizione divina ed ecclesiastica, ehe deve essere conferito dai canoni e comporta la partecipazione al potere sia divino ehe giurisdizionale. II noto canonista Wernz ha proposto una definizione tecnicamente più stretta di ufficio legandolo al concetto della giurisdizione: “se Fufficio si intende strettamente e oggettivamente, in quanto si oppone alFordine ecclesiastico, è un grado alla giurisdizione ecclesiastica in relazione a persone, cause e luogo, 15 J. F. Castano, Gli istituti di vita consacrata (cann. 573-730), Roma 1995, 149. 16 Berlingö ancora aggiunge: se contraddizione vi fosse, essa dovrebbe ravvisarsi non solo tra il c. 274 ed i canoni 129, § 2 e 228, ma anche tra il c. 274 e tutte le altre norme comportanti Fattribuzione ai laici di uffici nell’ambito giudiziario e amministrativo. Cf. S. Berlingö, I laici nel diritto postconciliare, in Aa.Vv., I laici nel diritto della Chiesa (Studii giuridici 14), Città del Vaticano 1987, 88.