Folia Canonica 1. (1998)

STUDIES - Péter Szabó: La competenza del vescovo eparchiale per la sanazione in radice del matrimonio

158 PÉTER SZABÓ cioè in una relazione con una parte protestante, la forma canonica e la benedizione sacerdotale, che in altri casi devono essere davvero distinte, non possono essere messe in una relazione oppositoria. Infatti, in circostanze normali è difficilmente ipotizzabile un caso in cui la dispensa potrebbe servire ad un altro scopo ehe alla celebrazione davanti ad un ministro protestante. Questo, pero, comporterebbe necessariamente la mancanza di uno degli elementi costitutivi della tradizione orientale. Tornando al nostro terna principale, tutto sommato, se consideriamo l’essenza dell’istituzione giuridica della sanazione in radice, diventa chiaro ehe quest’ unico motivo (!), cioè il garantire della benedizione sacerdotale con cui la riserva dei c. 835 è stata motivata durante la codificazione, nel caso attuale non si présenta per nulla. La sanazione in radice è «1’atto di riconoscimento» a posteriori ehe suppone il consenso matrimoniale delle parti. In verità, come sappiamo, si tratta di un puro atto amministrativo (una concessione di grazia), ehe viene rilasciato posteriormente dali’autorité competente.16 In rapporto di quest’atto, quindi, la questione (anzi la possibilité stessa) della benedizione sacerdotale non si présenta affatto. Cosi, mentre -per lo meno partendo da un punto di vista più rigorosamente orientale- doveva affacciarsi necessariamente il problema se è giusto applicare la figura stessa della sanazione nel CCEO,17 una volta fatta questa ammissione, vanno riconosciute anche le sue conseguenze intrinseche. Percio, data la natura 16 Per una descrizione concisa dell’essenza di quest’istituto canonico vedasi: Code of Canon Law Annotated, E. Caparros- M. Thériault- J. Thorn (eds.), Montréal 1993, 729-730; J. Castano, Il sacramento del matrimonio, Roma, 21992, 513-518. 17 L’istituzione giuridica concreta della sanazione in radice -come influenza ovviamente latina- viene menzionata soltanto dal secolo XIX nelle fonti orientali cattoliche, mentre nelle Chiese ortodosse è sconosciuta anche ai giomi nostri; Prader, Il matrimonio (cf. nt. 5), 238; cf. Syn. Sciarfen. Syrorum, a. 1888, cap. V, art. XV, § 10, 5; Syn. Alexandrin. Coptorum, a. 1898, sect. II, cap. Ill, art. VIII, § 7, 5. L’applicazione attuale della figura è a carico della tradizione orientale, secondo la quale la necessaria collaborazione sacramentale della Chiesa nel matrimonio sacramentale va espresssa tramite la benedizione sacerdotale. Giova notare che tale aspetto, del resto, va sottolineato anche per il diritto matrimoniale cattolico (cf. Commissio Theologica Intemationalis, Documentum Matrimonii christiani sacramentalitas'. «Decem et sex theses» patris G. Martelet SJ a Comissio Theologica Intemationalis «in forma generica» appprobatae de doctrina catholica matrimonii christiani, 1-6 Decembris 1977, in Enchiridion Vaticanum VI, nn. 472-473, 362-364). Comunque la codificazione orientale ha considerato la questione piuttosto dal punto di vista del indiscutibile utilità pratica della figura da una parte, dall’altra invece -sottolinenando una analogia chiara con la prassi ortodossa del cosidetto oikonomia- da quello del salus animarum', cf. Nuntia 15 (1982) 95.

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