Folia Theologica et Canonica 6. 28/20 (2017)

IUS CANONICUM - Davide Cito, Interpretazione ed applicazione delle circostanze attenuanti: questioni aperte

206 DAVIDE CITO della punibilità. Come si evince dalla stessa terminologia, per l’applicazione della pena latae sententiae non è richiesto l’intervento del giudice. Questa dis­posizione si rivolge quindi principalmente al fedele - o al confessore che giudi­ca nell’ambito del foro interno sacramentale - il quale, qualora sia incorso in un delitto per cui sia prevista una pena latae sententiae, dovrà in coscienza valutare l’eventuale sussistenza di una qualche circostanza attenuante26. Qualora invece la commissione del delitto non rimanga occulta e allorché possa essere necessa­rio che la pena latae sententiae in cui si è incorsi venga dichiarata, spetterà al giudice o al superiore competente - a seconda che la dichiarazione avvenga per via giudiziale o amministrativa - valutare se ricorrono le summenzionate circo­stanze attenuanti e quindi l'esenzione dalla pena. Nella pratica questo disposto può rendere quasi “impossibile" incorrere in una simile pena. A questo riguardo si può rilevare che il Codice, dal combinato disposto dei cann. 1322, 1323 e 1324, non solo fissa dei limiti legali entro i qua­li vi può essere peccato ma non un delitto punibile27 ma, come detto prima, re­stringe alla condizione di “piena imputabilità” la possibilità di incorrere in una pena latae sententiae. E non va inoltre dimenticato che le circostanze esimenti ed attenuanti operano oggettivamente, indipendentemente cioè dalla conoscenza che di esse ha il soggetto. Ne deriva che quand’anche egli avesse consapevolez­za del peccato grave commesso, e magari fosse anche convinto di essere incor­so in una pena latae sententiae, ciò di per sé non sarebbe sufficiente a determi­nare che vi sia effettivamente incorso, giacché occorre non solo che raggiunga la certezza morale della piena imputabilità ma inoltre che essa lo sia realmente. Ora, l’analisi dell’elemento soggettivo è molto complessa e delicata e non vi è dubbio che alcune delle circostanze attenuanti previste nel can. 1324 richie­dono un esame molto attento poiché non sono di facile discernimento28. E d’alt­ra parte, come poter richiedere ad una persona che ha commesso un delitto la serenità e l’oggettività per giudicarsi non solo secondo i dettami della sua coscienza ma anche secondo i parametri stabiliti dal Codice? Ad ogni modo, in caso di dubbio, il soggetto potrebbe legittimamente escludere di esservi in­corso. E potrebbe anche provocare una specie di confusione perché a fronte di 26 Borras, A., Les sanctions, 32: “(•..) dans le cas des peines latae sententiae l’appréciation des circostances atténuantes reviendra a l’auteur du délit lui-même. Cela explique que le destinatai­re des normes énoncées au canon 1324, § 1, ne soit pas clairement designé comme dans le canon 1326, où c’est expressément au juge (...) qu’il revient d’apprécier les circostances aggravantes”. 27 Ad esempio per il minore di età, che eventualmente potrebbe essere punito con pen eferendae sententiae solo se ultrasedicenne (cann. 1323 n. 1° e 1324 § 1, n. 4°), o per chi manca abitual­mente dell’uso di ragione benché abbia commesso il fatto in un lucido intervallo (can. 1322). 28 Ad esempio quella indicata al n. 3° per chi ha commesso il fatto “ex gravi passionis aestu, qui non omnem tarnen mentis deliberationem et voluntatis consensum praecesserit et impedierit, et dummodo passió ipsa ne fuerit voluntarie excitata vel nutrita”; oppure al n. 5° “ab eo, qui metu gravi, quamvis relative tantum, coactus est, aut ex necessitate vel gravi incommodo, si delictum sit intrinsece malum vel in animarum damnum vergat”.

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