Folia Theologica et Canonica 6. 28/20 (2017)

IUS CANONICUM - Davide Cito, Interpretazione ed applicazione delle circostanze attenuanti: questioni aperte

INTERPRETAZIONE ED APPLICAZIONE DELLE CIRCOSTANZE ATTENUANTI... 205 nendo anche conto del fatto che il can. 1349, invita nel caso di pene indetermi­nate a non applicare quelle più gravi ribadendo così lo spirito di mitezza e bene­volenza. Ma non solo, un punto non di poca importanza è dato dal delitto di abuso di minori da parte di un chierico. Il fatto che vi sia qualche circostanza at­tenuante (ingiusta provocazione da parte del minore; impeto passionale colpe­vole ma non premeditato ecc.) di per sé dovrebbe escludere l’applicazione del­la sanzione più grave (la dimissione dallo stato clericale). Ancor più se l'impeto passionale è dovuto a perturbazioni di natura patologica. Eppure sembra a volte che la presenza di queste circostanze mostrino con più evidenza la non conve­nienza a proseguire nel ministero proprio perché sono meno controllabili, sono debolezze che possono apparire anche inaspettatamente e di ciò bisogna senz’­altro tener conto magari non attraverso strumenti penali ma di carattere ammi­nistrativo o disciplinare. L'ultimo punto riguarda le circostanze attenuanti e le pene latae sententiae. Il Codice del 1983 se da un lato, pur non riproducendo una norma simile al can. 2232 § 1 CIC (1917), apparentemente non si discosta dall’impianto precedente quanto alla possibilità di incorrere in una pena latae sententiae e agli effetti che ne derivano, in realtà introduce come condizione minima per incorrere in esse le condizioni particolari indicate dal can. 2229 § 2 ed anzi pone la necessità, tra l'altro, che l’imputabilità penale sia piena, non bastando quella grave (cfr. can. 1324 § 1, n. 1()°)24. La disposizione in questione conferma l’estrema benevolenza dell’attuale ordinamento canonico. Si dice che ogniqualvolta ricorra una qualsiasi circo­stanza attenuante tra quelle elencate al primo paragrafo del can. 1324 il reo non incorre nelle pene latae sententiae25. Da ciò si deduce che tutte le circostanze di cui al paragrafo primo se servono di fatto ad attenuare la punibilità dei delitti per i quali è prevista una pena ferendae sententiae, nel caso di delitti per cui l’ordinamento prevede una pena latae sententiae si trasformano tutte in esimenti 24 In sostanza in Legislatore del CIC (1983) ha esteso la benignità prevista dal can. 2229 § 2 CIC (1917) a tutti i casi di delitti puniti con pene latae sententiae rendendo quindi quasi inapplicabi­li tali pene. Ciò è mostrato in modo inequivoco dalle parole di Michiels nel commento al can. 2229 § 2 CIC (1917) che vale la pena di riportare: “Ratio iuridica principii can. 2229 §2 alia ad­duci nequit praeter ipsius legislatoris voluntatem positivant; in casu contemplato a poenis l.s. excusat quaelibet imputabilitas imminutio, quia ita ex indulgentia decrevit legislator supremus. E concludeva: «Dum plures poenas l.s. theorice retinuit. practice tarnen eas regulariter ineffica­ces reddidit, quia in praxi plerumque non incurruntur propter ‘aliquant’ saltern imputabilitatis imminutionem in violationem legum. quibus adnectuntur, reapse verificatam” in Michiels, G., De delictis et poenis: Commentarius Libri V Coda is laris Canonici, II. 370 (il corsivo è nel testo). 25 Una prima redazione del canone in questione così recitava: "Reus poenae latae sententiae non tenetur, si qua ex circumstantiis adsit. quae in cann. (...) recensentur, vel si aliter delinquentis imputabilitas quamvis adhuc gravis, deminuta sit sive ex parte intellectus sive ex parte volun­tatis, salvo praescripto can. (...) de perturbationibus ad delictum patrandum vel excusandum quaesitis”. Cfr. Communicationes 8 ( 1976) 179.

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