Folia Theologica et Canonica 6. 28/20 (2017)

IUS CANONICUM - Damián G. Astigueta, Circostanze aggravanti della pena: Alcune precisazioni

CIRCOSTANZE AGGRAVANTI DELLA PENA: ALCUNE PRECISAZIONI 181 compiuta da un altro fedele25 26, oppure estrinseche o comuni quando consistono in un elemento che si trova fuori della descrizione della fattispecie (ad es. reci­dività), cioè, quando quell’elemento si applica dall’esterno della fattispecie co­me le circostanze considerate nel c. 1326“. Solo queste ultime sono considerate come cause aggravanti. Resta ancora da dire che sebbene si tratti di un elemento soggettivo, la legge non intende perdersi nei meandri dell’interiorita del reo e si riferisce a circo­stanze che possano essere quantificabili o verificabili dal giudice oggettivamen­te27. I diversi ordinamenti penali presentano un elenco abbastanza lungo di cir­costanze possibili, ma la Chiesa ha voluto determinarne solo tre: la recidività, l’abuso d’ufficio e la colpa prossima al dolo (c. 1326). In questo senso il CCEO ha adottato un sistema peculiare, diciamo “aperto”, in quanto al c. 1416 considera la recidività come la prima situazione aggravan­te, ma lascia aperta la possibilità al fatto che il giudice possa considerare altre circostanze del reato per aumentare la pena fondandosi nella prassi e nella dott­rina comune28. III. Recidività I. Storia Il termine recidività non è utilizzato dal CIC. Etimologicamente significa “rica­duta" e indica la situazione del reo che dopo una condanna con decreto o sen­tenza per una pena ferendae sententiae o una dichiarazione di una pena latae sententiae, commette un altro delitto stabilito dalla legge canonica29. 25 Si deve tener in conto che a volte questi elementi presenti nelle norme possono essere aggravan­ti in relazione al luogo (c. 1395 § 2) o in funzione della vittima (c. 1370) o il modo di svolgimen­to dell’azione (la crudeltà nel delinquere) o le conseguenze posteriori (scandalo), etc.; cfr. Wernz, F. X. - Vidal, P„ Ins Canonicum, VII: lus poetiate ecclesiasticum, Romae 1937. 117. 26 Cfr. Santorio, A., Circostanze del Reato (cfr. nt. 16), 268. Michiels, G., De delicitis et poenis, I. (cfr. nt. 3), 250. 27 In questo senso aggiunge Pighin: “Questo discorso, logico in teoria, è di diffìcile applicazione nella prassi penale, perché si infrange contro gli scogli della misurazione, pressoché impossibi­le, della colpevolezza. Non esistono metri esterni atti a valutare in modo inconfutabile i proces­si interiori di un delinquente. Pertanto il Legislatore ha preferito ripiegare su criteri oggettiva­mente verificabili, per poter individuare le ipotesi che portano a punte estreme l’imputabilità per un comportamento delittuoso. I parametri adottati dipendono fondamentalmente dal grado el­evato sia della riprovazione per il reo che della deplorazione sociale del reato.” Pighin, B. F., Diritto penale canonico (cfr. nt. 17), 180. 28 In questo senso concordiamo nel dire che la regolamentazione della materia nel CIC appare più dettagliata e articolata; cfr. Pinto, P. V. (ed.), Commento al Codice dei Canoni delle Chiese Orien­tali, Città del Vaticano 2001. 1121 (De Paolis, V.). 29 Cfr. Chiappetta, L., Il codice di Diritto canonico. Commento giuridico pastorale, II. Napoli 1988.446.

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