Folia Theologica et Canonica 4. 26/18 (2015)

SACRA THEOLOGIA - Izsák Török, Come poter aiutare meglio i nostri pazienti credenti. Illustrazione tramite due casi

94 IZSÁK TÖRÖK chiedeva cose più importanti, dunque la preghiera per lei non era più un mezzo per tranquilizzarsi; non aveva più paura del diavolo, perché su mia richiesta aveva tolto l'immagine dell'Arcangelo San Michele dal suo libro di preghiera e sapeva - dopo qualche spiegazione sulle ’tentazioni di Gesù nel deserto - che Dio è sempre più forte del diavolo; cominciava a conoscere che Dio è buono, è amore e che perdona sempre e non è un tiranno vendicativo, che nei cieli sta aspettando di poter punire, sgridare se qualcosa non era riuscito perfettamente (Filomena probabilmente aveva trasferito nella rappresentazione di Dio l'im­magine della madre). Filomena ad oggi non è guarita comletamente, ma è sulla buona strada. Cer­cavo di curare tutta la sua personalità, il settore psichico insieme a quello spiri- tuale-religioso. Il miglioramento nelle sue difficoltà ossessive-compulsive in qualche modo l’ha aiutata a poter vivere anche una religiosità più autentica, più matura. Per far conoscere cosa e come sia una religiosità più ’autentica’ e più ’matura’, spesso dovevo usare la teologia, quindi fare chiarimenti sui concetti e su parole del Vangelo. III. Il caso di una persona borderline La paziente - chiamiamola Fabrizia - era una convertita al cattolicesimo (la fa­miglia è di origine ebrea, ma non credente, poi il padre e la madre si sono con­vertiti alla chiesa lutherana, ma senza praticare; Fabrizia, con una sua amica durante gli studi universitari ha chiesto la cresima nella Chiesa Cattolica) e mi cercava per chiedere dei consigli in materia di fede. Fabrizia aveva 42 anni. Mentre mi fece delle domande su come pregare - le piecevano le preghiere lunghe, ripetitive, specialmente degli buddhisti e non si trovava bene con le preghiere cristiane - ho osservato che psichicamente aveva dei grossi problemi, sembrava sempre stanca e diceva che non riusciva a dormire piu di due-tre ore al giorno. Come di solito, le avevo proposto di fare una diagnosi. Lei sembrava molto contenta, sembrava addirittura entusiasta e mi diceva: "lei forse non è co­me altri psicologi, spero che mi capirà”, ma alla fine aveva rifiutato il test e mi disse che “ho bisogno di incontrarmi con Lei una volta al mese, perché ho pau­ra di finire all'inferno”. Dopo che lei aveva rifiutato i tests, le proposi di poter parlare, ma parlava poco, evitava lo sguardo negli occhi, e sempre si lamentava dei suoi genitori e della sua unica sorella: “non mi voleva nessuno, mi hanno abbandonato”. La mamma era un’orfana di guerra e si era sposata in età avanzata. Era molto esigente verso Fabrizia, si era interessata solo dei suoi risultati scolastici, vole­va che lei diventasse una studente eccelente, ma affettivamente era molto lonta­na dalla figlia, "mi diceva cosa studiare e mi lasciava da sola nella camera”. Il padre secondo Fabrizia era buono, ma taciturno, non aveva mai fatto discus-

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