Folia Theologica et Canonica 4. 26/18 (2015)
IUS CANONICUM - Carlos José Errázuriz M., Sul rapporto tra teologia e Diritto canonico: il binomio dottrina-disciplina
212 CARLOS JOSÉ ERRÁZURIZ M. diritto, un giusto, ecclesiale, insito nell’essere stesso della Chiesa. Tale legame con l’ontologia spiega come gli enunciati circa il diritto divino facciano parte della dottrina della fede che viene custodita e tramandata dalla Chiesa. E un aspetto della sua autocomprensione, e pertanto una sfera in cui c’è la capacità di approfondire la verità, mediante il senso della fede dei fedeli, sempre unito al magistero, ma non il potere di modificare o accantonare ciò che è stato ricevuto da Cristo. Nella conoscenza ed accettazione del giusto divino, cioè stabilito e rivelato da Dio, si gioca la fedeltà della Chiesa a se stessa e al suo divino Fondatore in campo giuridico. Perciò, è molto conveniente cercare di esprimere le norme di diritto divino in termini positivi e di giustizia, come relative ai diritti dei fedeli e di tutte le persone umane, e ai diritti dell’intera Chiesa e delle istituzioni in essa esistenti. In tale modo quelle norme perdono ogni connotato di arbitrarietà, cioè di limitazioni non fondate della libertà, mostrano la loro presenza continua nella vita della Chiesa, e si evita una sorta di timore riverenziale di invocare il diritto divino, come se tale categoria fosse adoperabile unicamente quando c’è una definizione dogmatica. In questo tempo tra i due Sinodi sulla famiglia convocati da Papa Francesco viene subito in mente l’argomento tanto discusso circa la disciplina vigente che vieta la Comunione eucaristica ai fedeli sposati e divorziati che hanno contratto una nuova unione civile. È chiaro che per evidenziare che tale disciplina costituisce in se stessa una verità pratica e un bene per tutti, non la si può intendere come una mera regola positiva, sia pure molto tradizionale e venerabile. Occorre mostrare che una simile regola esprime un’esigenza di giustizia, la quale si fonda su veri diritti: da una parte, quelli inerenti al matrimonio e alla famiglia come beni giuridici ecclesiali, e dall’altra, quelli concernenti la santissima Eucaristia, quale bene di tutta la Chiesa e di ogni fedele. In questo senso bisogna mettere in luce il legame tra questi due beni giuridici, il matrimonio e l’Eucaristia, nella misura in cui in entrambi si realizza il bene della comunione ecclesiale nella sua dimensione anche visibile. A questa luce si può comprendere che la massima partecipazione visibile al mistero eucaristico mediante la Comunione sia giusta nei fedeli sposati se esiste in essi una vita visibilmente giusta nella sostanza del loro vincolo matrimoniale. Il perché questa regola non ammetta delle eccezioni va cercato nell’inesistenza di ragioni che consentano di comunicarsi in tale situazione oggettiva, essendoci in gioco un diritto stretta- mente soprannaturale come quello di accedere al banchetto eucaristico, inesistente qualora persista una situazione ecclesiale oggettivamente ingiusta. Non si tratta invece di un diritto che presenta una dimensione naturale, come quello di sposarsi, che può essere esercitato dai fedeli con disposizioni soprannaturali imperfette. In un’analisi giuridica realistica di questo tipo emerge costantemente la rilevanza della dottrina della fede, la quale non può non includere la verità sugli aspetti essenziali delle relazioni di giustizia intraecclesiale.