Folia Canonica 8. (2005)
STUDIES - Géza Kuminetz: I rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica e la celebrazione del matrimonio
I RAPPORTI FRA LO STATO E LA CHIESA CATTOLICA 145 3.2. L’esistenza dei diversi riti nella Chiesa Cattolica II problema deU’autonomia dei due Codici solleva ancora la domanda dei riti. Che cosa è il rito? Ci dice il Concilio Vaticano II: la Chiesa è una, ma esiste in essa una pluralité di riti, che sono alla base di particolari „aggruppamenti organi- camente congiunti sorti nel corso dei secoli, i quali, salva restando l’unità della fede e 1’unica divina costituzione della Chiesa universale, godono di una propria disciplina, di un proprio uso liturgico, di un proprio patrimonio teologico e spirituale” (LG 23). Poi l’esistenza dei diversi riti, ossia delle chiese sui iuris „nella chiesa non solo non nuoce alla sua unité, ma anzi, la manifesta” (OE 2). Tutte le chiese rituali sui iuris, sia orientali che occidentali, „godono di pari dignité, cosi che nessuna di loro prevale suile altre per ragione dei rito, e godono degli stessi diritti e sono tenute agli stessi obblighi” (OE 3). Per il canonista di rito sia orientale che latino, come devono essere interpretati questi dettati conciliari? Sembra di essere davanti ad una presunzione „a favore dell’uguale posizione giuridica nei rapporti interrituali di tutte le Chiese sui iuris. Ragion per cui se esiste una di- suguaglianza giuridica a questo proposito, essa deve risultare espressamente e in caso di dubbio il testo va interpretato nel senso dellTiguaglianza”.33 Dal testo conciliare possiamo ricavare ancora altri principi che ci aiutano, in caso di dubbio, a trovare la giusta interpretazione. Per esempio „tutti i chiericL.siano bene istruiti sui riti e specialmente circa le norme pratiche in materie interrituali; anzi vengano istruiti anche i laici, nelle spiegazioni catechistiche, sui riti e le loro norme” (OE 4) oppure „quelli che per ragioni o dell’incarico o dei ministero aposto- lico hanno frequente relazione con le chiese orientali o con i loro fedeli, secondo 1’importanza della carica che occupano siano accuratamente istruiti nella cono- scenza e nella pratica dei riti, della disciplina, della dottrina, della storia e dei ca- rattere degli orientali” (OE 6). Ci sono anche altri principi per facilitare 1’applicazione delle norme. Il can. 214 del CIC afferma il diritto dei fedeli di os- servare il proprio rito negli atti di culto, e di seguire una propria fonna di vita spirituale. Questo diritto sta a significare l’osservanza di tutto il patrimonio anche disciplinare di queste Chiese. Come sottolinea Marco Brogi: mantenere o seguire il proprio rito, „significa dunque rimanere fedele alle proprie tradizioni, cioè alla propria liturgia, alla propria disciplina ecclesiastica ed al proprio patrimonio spirituale.”34 Ma c’è qualcosa di più, siccome qui si tratta di un diritto personale dei fedele, come accentua il cardinale Péter Erdő: „Tuguaglianza nel campo sa- cramentale interrituale non discende, quindi, soltanto dall’uguaglianza delle 33 Erdő, Questioni (nt. 32), 324. 34M. Brogi, II diritto aU’osservanza del proprio rito (CIC can. 214), in Antonianum 68 (1993) 108.