László Szederkényi: La partecipazione dei cristiani alla vita politica nell'epoca precostantiniana - Studia Theologica Budapestinensia 33. (2008)

IV. LA PARTECIPAZIONE DEI CRISTIANI ALLA VITA PUBBLICA DAL II. SECOLO FINO ALL'ETÁ DI COSTANTINO - 3. Il problema del culto pagano

non soddisfaceva pienamente le esigenze del culto pubblico. Accanto al culto estraneo, si doveva partecipare al culto delle divinità poliadi per compiere il proprio dovere civile. Dunque il pluralismo religioso antico non escludeva l'esistenza dei diversi culti e diversi dèi, se il culto privato era collegato con il rispetto dei fondante della religione poliade. La pluralité di scelte religiose e morali era presente soprat- tutto nelle città cosmopolite, ma il culto ufficiale era obbligatorio ovunque. Ognuno poteva praticare tutti i tipi di culto, perö il culto pubblico era obbligatorio per tutti. Chi aveva rifiutato la partecipazio- ne al culto pubblico, diventava un elemento pericoloso e inquinante agli occhi delle comunità per la non accettazione della religione uffi­ciale, perché quest'atteggiamento comprometteva la salus rei publicae, cioè la suprema lex. In tal modo non esisteva un pluralismo religioso e la religione era un fatto ufficiale, non personale. La religione era una parte integrante e fondante della comunità134. Se una religione barbara era moralmente riprovevole, non per questo era condannata dalla legge. Il cristianesimo non è stato ogget- to di una proibizione giuridica esplicita, ma ha costituito semplice­mente un problema di ordine pubblico, legato al carattere nazionale della religione antica135. Le altre religioni "barbare" avevano conce- zione politica simile a quella dei romani, soltanto il cristianesimo pre- dicava cose diverse. Quindi agli occhi dei paganesimo i cristiani era­no un pericolo reale per la salus rei publicae. A causa della apparte- nenza totale a Cristo e di disprezzo della religione imperiale, un cri- stiano poteva diventare l'oggetto di condanna giudiziaria dei magi- strati romani corne cittadino colpevole di inimicizie all'impero. Per i Romani la religione è determinata dall'appartenenza ad una città o ad un popolo e tramandata dai padri, in tal modo il cristiane­simo veniva considerato una superstitio senza tradizione e senza radi­ci nazionali136. In realtà nel loro linguaggio la superstitio significo il contrario di religio. Quindi la religio era per i Romani équivalente al patrimonio nazionale, al mos maiorum, le superstitiones invece erano tutte le forme religiose e tutte le pratiche cultuali che non corrispondevano a quelle 134 A. Di Berardino, l cristiani e la città antica nellevoluzione del IV secolo, p. 212. 135 G. Jossa, I cristiani e Timpero romand da Tiberio a Marco Aurelio, Roma, 2000, p. 106. 136 Cfr. G. Jossa, I cristiani e l’impero romám da Tiberio a Marco Aurelio, p. 105-106. 33

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