Folia Theologica et Canonica 4. 26/18 (2015)

IUS CANONICUM - Bruno Esposito, O.P., La fede come requisito per la validitá del matrimonio sacramentale?

180 BRUNO ESPOSITO, O.P. Non teorizzando un nuovo sistema canonico del consenso, Giovanni Paolo II ha fornito indicazioni epistemologiche, sottolineando l’erroneità di teorie gene­rali del consenso basate o su un eccessivo estrinsecismo istituzionalista e razio­nalista che pone una separazione tra persona ed istituto, o su un soggettivismo e volontarismo esasperato che sovente perviene alla conclusione che la sacra- mentalità si concretizzi solo nel segno immediatamente voluto e dunque nel transitorio fatto interelazionale (matrimonio in facto). Così facendo si perde la dimensione del dovuto definitivo secondo giustizia, e dell’indissolubilità della significazione sacramentale, sulla quale il Signore è stato chiarissimo “non se­pari”. La trascendenza è insita nell'agire stesso dell’uomo e specificamente nel­la donazione dell’io-coniugale, senza disgiunzione tra la natura e la sopra­natura. La Chiesa non dovrebbe quindi rifiutare la celebrazione delle nozze ai nu­bendi bene disposti - anche se imperfettamente preparati dal punto di vista soprannaturale - purché abbiano, secondo uno ius connubii loro riconosciuto dal Creatore, la retta intenzione di sposarsi, secondo la realtà naturale della coniugalità (matrimonio unico, fecondo ed indissolubile). L’attenzione va dunque focalizzata sulla relazione coniugale creaturale ove si ha l’unione delle potenze naturali conferite tramite l’atto del consenso. Ciò permette di poter eliminare tanto il problema della razionale collocazione della sacramentalis dignitas entro i parametri razionalisti del consenso coniugale, quanto il collegato problema dell’intenzione sacramentale interna e/o esterna, del ministro e/o del suscipiente che, per il sacramento del matrimonio risulta difficilmente risolvibile, atteso che di intenzione specificamente sacramentale non è corretto parlare per questo peculiare sacramento, stante la relazione reale ed intrinseca del matrimonio creaturale con il mistero rappresentato. Quando i coniugi donano quella parte di sé che è connaturalmente coniuga­bile, pongono, con dovuta e secondo giustizia, la vera ed unica materia sacra­mentale, consistente nel consacrante sese mutuo tradere et accipere, in forza del quale essi divengono una caro, secondo la materia matrimoniale creaturale del principio, oltre ai gravi rischi che ho indicato in Familiáris consortium (...) porterebbe inevitabilmente a voler separare il matrimonio dei cristiani da quello delle altre persone. Ciò si opporrebbe profondamente al vero segno del disegno divino, secondo cui è proprio la realtà creazionale che è un mistero grande in riferimento a Cristo ed alla Chiesa” (ibid., 364, n. 8); “Non si può difatti configurare, accanto al matrimonio naturale, un altro modello di matrimonio cristiano con specifici requisiti soprannaturali. Questa verità non deve essere dimenticata al mo­mento di delimitare l’esclusione della sacramentalità e Terrore determinante circa la dignità sac­ramentale come eventuali capi di nullità. Per le due figure è decisivo tener presente che un atteg­giamento dei nubendi che non tenga conto della dimensione soprannaturale del matrimonio, può renderlo nullo solo se ne intacca la validità sul piano naturale nel quale è posto lo stesso segno sacramentale” (Id., Allocutio ad K. Rotae Praelatos Auditores [30 ian. 20031: .4 A .S' 95 [20031 397, n. 7).

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