Folia Theologica et Canonica 4. 26/18 (2015)
IUS CANONICUM - Péter Erdő, Il parroco deve conoscere la lingua Dei fedeli - Osservazioni giuridico-canoniche a propositio delle Regole della Cancelleria (ss. XIV-XVI)
IL PAROCCO DEVE CONOSCERE LA LINGUA DEI FEDELI 151 un dialetto simile alla lingua locale, perché questo è sufficiente per la comprensione76. Anzi, dato che “(•••) si capisce ormai la lingua francese ovunque nel paese, chi parla francese (...) può ottenere dei benefici in tutto il regno”. In questo contesto l’autore fa riferimento anche alla norma statale che richiede la redazione dei documenti ufficiali in lingua francese77. Al posto della lingua locale comprensibile ed emozionalmente vicina ai semplici fedeli, qui si tratta già della lingua nazionale, anzi della lingua di stato nel senso moderno. Il citerio della conoscenza reale della lingua viene sostituita da quello dell’appartenenza al regno. Conclusione L’assicurazione della cura pastorale dei fedeli di diversi riti e lingue doveva essere armonizzata all’inizio soltanto con le strutture del governo ecclesiastico unitario. Più tardi, dall’epoca del pontificato di Avignone, la questione della conoscenza delle lingue s’inseriva nel sistema della concessione pontificia dei benefici e degli uffici ecclesiatici locali. Le concessioni pontificie hanno messo all'ordine del giorno diversi problemi pastorali, e hanno incontrato anche delle resistenze locali. I canonisti che si occupavano del tema, soprattutto i commentatori delle Regulae Cancellariae, che tenevano presente i punti di vista della prassi, hanno formulato le loro opinioni nell’ambito di tre interessi principali. L’interesse degli ufficiali della Curia e dei richiedenti era di ridurre al minimo possibile le circostanze che impediscono che qualcuno possa ricevere un beneficio ovunque nella Chiesa. Gli autori che tenevano presente l’interesse dei prìncipi, cercavano invece di arrivare ad una applicazione indebita del senso dei criteri riguardanti la conoscenza di lingue, deducendo da essi la necessità del consenso del prìncipe alla nomina, o rinforzando la posizione della lingua di stato. L’interesse pastorale invece era, che la lingua dei fedeli locali fosse ben conosciuta dal parroco e da chiunque altro che riceve un beneficio connesso con la cura pastorale, anzi che questi pastori parlino possibilmente la lingua locale come lingua materna, perché questo rinforza la fiducia, la comunità spirituale e l’efficacia della missione che serve alla salvezza delle anime. 76 Rebuffus, Praxis beneficiorum, Reg. 20, glossa IL un. 11-12: 383. 77 Rebuffus, Praxis beneficiorum, Reg. 20, glossa IL n. 13: 383 (“Unde cum Gallicus hodie serrno ubique intelligatur in regno, is qui loquitur Gallice, dummodo alias sit idoneus, beneficia in toto regno obtinere non prohibetur, ut scripsi in tracta. Ut constact. et alii actus Gallicis concipiantur verbis, in 2. tomo constitu. reg.”).