Folia Theologica et Canonica 3. 25/17 (2014)

IUS CANONICUM - Helmuth Pree, Questioni interrituali e interecclesiali nell’amministrazione Dei sacramenti

QUESTIONI INTERRITO ALI E INTERECCLESIALI... 217 oppure ricevono, anche a causa di una usanza a lungo protratta, i sacramenti se­condo il rito di un’altra ESI (c. 112 § 2 CIC). Per quanto riguarda l’amministrazione dei sacramenti giova mettere in rilie­vo, che le leggi liturgiche della propria ESI obbligano i fedeli ovunque, anche fuori del proprio territorio (c. 150 § 2 CCEO).9 Inoltre, i fedeli orientali sono strettamente obbligati a conservare e a pro­muovere il proprio rito (cc. 39-41 CCEO)."1 In base a OE 4 - tutti i fedeli catto­lici come pure i battezzati di qualsiasi chiesa o comunità acattolica, conservino in qualsiasi parte del mondo il proprio rito, lo rispettino, e nella misura delle proprie forze, lo osservino - il c. 31 CCEO stabilisce un divieto giuridicamente vincolante “che riguarda anzitutto la Chiesa Latina, sia in oriente sia in diaspo­ra orientale in occidente”.11 Una conseguenza di quest’obbligo è, che tutti quelli che hanno un ufficio o una qualsiasi funzione ecclesiale al riguardo (frequenti relazioni con fedeli di una altra ESI) siano formati accuratamente nella conos­cenza e nella pratica del rito di questa Chiesa (c. 41 CCEO). c) Il Diritto al proprio rito Per gli orientali, se conservano ovunque il loro stretto legame con il proprio rito, il rovescio della medaglia è che hanno altrettanto il diritto di esercitare il culto divino secondo i prescritti della propria Chiesa sui iuris e di seguire una propria forma di vita spirituale, conforme però alla dottrina della Chiesa (c. 17 CCEO; c. 214 CIC).12 Per conseguenza, i fedeli (latini e orientali) hanno il Diritto di rice­vere i sacramenti secondo la liturgia della propria ESI.13 Ne segue il dovere del Vescovo (latino e orientale) di provvedere alle necessità spirituali dei fedeli di rito diverso nella sua diocesi/eparchia, mediante presbiteri, parrocchie oppure Vicari episcopali/Sincelli di quel rito (c. 383 § 2 CIC; c. 193 § 2 CCEO ).14 9 Cfr. Fürst, C. G., Die Bedeutung des Codex, 361. Salachas, O., I ministri sacri orientali nelle circoscrizioni latine, in Gefaell, P. (a cura di), Cristiani orientali e pastori latini, 108-149, 142-146. 10 Cfr. anche Orientalium Ecclesiarum, 6: Tutti gli orientali sappiano e siano certi che sempre possono e devono conservare i loro legittimi riti liturgici e la loro disciplina, e che non si devono introdurre mutazioni, se non per ragione del proprio e organico progresso', inoltre, i cattolici orientali devono approfondire la conoscenza della propria tradizione e qualora le genuine tradi­zioni fossero venute meno, cerchino di ritornare alle tradizioni antiche. Cfr. anche Unitatis red- integratio, 15; c. 193 § 1 CCEO. Come Okulik, L., L'iniziazione cristiana,241s. fa notare, nel diritto latino non si trova un tale obbligo. Cfr. Pinto, P. V. (a cura di), Commento al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, Città del Vaticano 2001 (Salachas, D.) 51-53. 11 Pinto, P. V. (a cura di), Commento al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (Salachas, D.) 45. 12 „Tale diritto ha un significato che va ben oltre alla vita liturgica, poiché esso comprende anche l’osservanza di tutto il patrimonio anche disciplinare di queste Chiese”: Erdő, P., Questioni in- territuali, 16 nota 23. 13 Cfr. Erdő, P., Questioni interrituali, 16. Brogi, M. D., Obblighi dei vescovi, 13-17. 14 Cfr. anche cc. 193 §§ 1 e 3 CCEO; cc. 476, 518 CIC. Cfr. Brogi, M. D., Obblighi dei vescovi, 21-29.

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