Folia Canonica 12. (2009)

STUDIES - Luis Okulik: Significato e limiti della definizione di Chiesa sui iuris

76 LUIS OKULIK In forza di questo principio il romano pontefice ha il diritto di intervenire “in casibus singulis"40. E pertanto nelTambito di questa autonómia relativa che le Chiese sui iuris vengono espressamente o tacitamente riconosciute come tali dalla suprema autorità della Chiesa, e quindi, govemate a norma del diritto approvato dalla stessa suprema autorità della Chiesa4'. Pertanto, la qualifica di sui iuris fa riferimento alio statuto giuridico delle Chiese, riconoscendo cosi la loro capacità — e il loro diritto — di govemarsi in forza del loro diritto proprio42, il quale puô essere elaborato dalle stesse Chiese oppure concesso dali’autorità superiore o ricevuto liberamente da un’altra Chiesa sui iuris. Nella concezione cattolica, quindi, l’espressione sui iuris non mira a sottolineare soltanto la legittima autonómia di cui godono le Chiese orientali cattoliche ma anche la loro specifica identità. E in questo senso che la dottrina del Concilio Vaticano II mette in evidenza che questa caratteristica della giusta autonómia non risulta da una concessione conciliare o dello stesso Codice, essendo piuttosto un elemento specifico della Chiesa di Cristo, la quale è contemporaneamente universale e particolare, senza una priorità di un aspet- to sull’altro. L’autonomia delle Chiese sui iuris, inoltre, ammette una gradualità di forme, a seconda del loro sviluppo intemo. Nell’attuale modalità di esercizio della potestà legislativa, amministrativa e giudiziaria nelle Chiese sui iuris emergono alcuni nodi ehe possono consentire una valutazione dell’efFettivo grado di autonómia di cui godono le Chiese orientali cattoliche. Una prima questione che vorrei segnalare è quella riguardante la potestà dei patriarchi e dei loro sinodi, sia nel proprio territorio sia fuori di esso. Un aspet- to dell’autonomia delle Chiese orientali, effettivamente disciplinato dal diritto canonico orientale cattolico, riguarda l’elezione dei patriarchi e il funziona- miento dei sinodi delle Chiese patriarcali. I cann. 63-77 del CCEO disciplina- no l’elezione dei patriarchi delle Chiese orientali cattoliche affermando ehe il patriarca viene canonicamente eletto nel sinodo della stessa Chiesa patriarcale; alio stesso modo, gli arcivescovi maggiori vengono eletti nel sinodo della pro­pria Chiesa arcivescovile maggiore. Quindi, il patriarca non è designato dal ro­mano pontefice, ma eletto secondo la procedura canonica che il diritto stesso ha stabilito. Non si richiede, percio, nessun tipo di atto de conferma o di app- rovazione da parte del romano pontefice, perché questa elezione canonica sia valida; soltanto viene richiesta la comunione ecclesiastica con il romano pon­tefice: comunione richiesta e concessa. Il nuovo patriarca, secondo el can. 76 § 2, richiede al romano pontefice la comunione con una lettera scritta di suo pugno, e quindi si stabilisée ehe il patriarca, canonicamente eletto, esercita vali- damente il suo ufficio solamente dall’intronizzazione, con la quale egli ottiene 40 Cfr. OE, 9. “ Cfr. CCEO, cann. 27 e 56. 42 Cfr. OE, 5.

Next

/
Oldalképek
Tartalom