Folia Canonica 2. (1999)
STUDIES - Manlio Bellomo: Appunti per una metodologia della ricerca storico-giuridica
APPUNTI PER UNA METODOLÓGIA II direttamente il caso in oggetto; sono utilizzate, perché ciascuna per suo conto e tutte nel loro insieme servono per costruire le argomentazioni ehe portano alla soluzione dei problema. Il quadro che ho ricostruito evoca una rappresentazione storiografica che non esito a definire funesta: evoca il problema della c.d. “gerarchia delle fonti”. L’impostazione del problema e la connessa rappresentazione storiografica sono funeste, perché impediscono di capire la centralità e la funzione dei ius commune e i rapporti di questo con il ius proprium, e sono funeste perché portano ad equivoci e a fraintendimenti gravissimi1. La tesi è nota: norme regie come la Const. “Puritatem” di Federico II per il Regnum Siciliae, o come YOrdenamiento de Alcalà per il regno di Castiglia e León, oppure norme di statuti cittadini, dispongono ehe i giudici debbano applicare in primo luogo le norme dell’ordinamento particolare (regio o citta- dino), in secondo luogo le consuetudini, in terzo luogo il ius commune, o quella particolare riduzione di esso ehe nella visione dei sovrani di Castiglia avrebbe dovuto costituire un ius commune (le Siete Partidas, di Alfonso X). In Italia dunque il ius commune sarebbe stato un diritto sussidiario, secondario, accessorio; in Castiglia e León avrebbe costituito solo una ratio scripta, e come tale sarebbe stato posto fuori dalle norme che vigevano come diritto positivo. Se si riconsidera il quadro dei quattro possibili casi che ho appena tracciato, si possono fare le seguenti considerazioni. Quanto al primo caso, poiché il giudice decide secondo principi di giustizia e di ragione, si avrebbe per conseguenza ehe le norme statutarie non debbano essere applicate affatto. Nel secondo caso, alternativo al primo, si avrebbe, per conseguenza logica, ehe applicandosi le norme statutarie “prout littera iacet”, siano dei tutto irrilevanti i principi di giustizia e di ragione, salvo ehe essi non stiano già nella norma statutaria: cosa rara, almeno a giudizio di Cino da Pistoia, ehe considerava i legislatori comunali soprattutto come interessati e spesso spregevoli manipolatori dei contenuti dei ius commune', e sempre considerando il secondo caso, all’apparenza sembra restare fuori dall’applicazione il ius commune, poiché si applica la norma di ius proprium “sicut littera iacet”: ma è solo un’apparenza, perché il ius commune sta già ben dentro ogni norma regia o cittadina, talvolta per i suoi contenuti di diritto positivo, e sempre perché nessun legislatore locale, quali ehe siano stati i suoi interessi di fazione o 1 Mi permetto di rinviare a Manlio Bellomo, Società e istituzioni dal medioevo agli inizi dell'età moderna, la ed. Catania 1976; 8a ed., (I Libri di Erice 2), Roma 1997, 380-383, e soprattutto M. Bellomo, L’Europa del diritto comune, 1a ed. Lausanne 1988; 8a ed., (I Libri di Erice 1), Roma 1998, 91-96: in traduz. inglese, The Common Legal Past of Europe, 1000-1800, con introduzione di Kenneth Pennington, trad, di Lydia G. Cochrane, Washington D.C. 1995, 78-83; e in trad, spagnola, La Europa del derecho común, con introduzione di Emma Montanos Ferrín, trad, di Nadia Poloni e José Antonio de Prado Diez, 2aed., (I Libri di Erice 14), Roma 1999, 85-91. Vd. inoltre la letteratura ivi citata.