Fitz Jenő (szerk.): A Pannonia Konferenciák aktái IV. Bronzes Romains figurés et appliqués et leurs problemes techniques - István Király Múzeum közelményei. A. sorozat 27. A Pannon konferenciák aktái 4. (Székesfehérvár, 1984)

L. Beschi: Bronzi antichi nel Rinascimento Fiorentino: alcuni problemi

esemplari sono a Firenze, altri a Cortona, Palermo, Ve­nezia, Modena, New York, Berlino, Parigi, Cluny, Avi­­gnone (Pl. LVIII) (Supino 1898, 386; Middeldorf 1958, 170; Firenze 1980, 314, n. 643 a—b; Ciardi Dupré 1979, 18,2, 28). L’iconografia è certo antica, anche se non si è individuato ancora il preciso modello antico, allora di­­sponibile, e quindi l’archetipo ehe sta alla base delle varie redazioni, oscillanti tra i 30 e 40 cm. Nessun esemplare è completo del doppio flauto che il Satiro giovanile teneva fissato alla bocca tramite la fascia della phorbeia. Siamo anzi sicuri ehe l’azione del Satiro non è stata compresa nel Rinascimento, se consideriamo ehe esso viene costan­­temente registrato negli inventari quattrocenteschi e cin­­quecenteschi col singolare appellativo di “ignudo della paura”(14), quasi fosse semplicemente una figura imbava­­gliata e atterrita. Cosi lo vediamo riprodotto anche nel­­l’affresco patavino della Scuola del Carmine del 1505, docu­mento della sua vasta fortuna (Fiocco 1915,141, figg. 2, 4). I diversi esemplari si distribuiscono dal primo Rinasci­mento (per alcuni s’è fatto il nome di Pollaiolo e di Ver­rocchio) fino al Cinquecento avanzato (un esemplare è ri­­chiesto in prestito dalle collezioni granducali dallo stesso Benvenuto Cellini, probabilmente per eseguirne una re­plica) (Plon 1883, 385). Lo studio ehe il Middeldorf ha dedicato al tipo meriterebbe certo d’esser portato avanti, con una accurata critica delle copie, con nuove indagini d’archivio e con letture tecniche e stilistiche. Ma torniamo ai grandi bronzi. Nella confisca dei beni medicei dei 1495, öltre alia testa di cavallo vengono regi­­strate “dua teste di bronzo ehe erano in sui terrazzino” (Müntz 1888, 102). Fino ad oggi è mancato ogni tentativo di individuazione. Eppure, almeno per una esistono ben precisi indizi. Nel 1490 Lorenzo è sicuramente in trattative per 1’acquisto di una testa da Siena; ce lo rivela una sua lettera al corrispondente Andrea da Foiano (Gaye 1839, 294, n. 131). Si traita forse della stessa testa ehe ricordano le cronache senesi dei 1492 (Della Valle 1785, 48). Esse dicono: “I Senesi regalarono a Lorenzo de’ Medici una testa di Giove di bronzo, eccellentementegettato;mirandola a destra, pareva benigno e pio; a manca, torvo e irato”. Una testa di bronzo ehe, tramite 1’ingenua e pittoresca descrizione dei cronista, possiamo supporre avesse almeno alcune differenze formali nei due profili. Nel collezionismo mediceo dei Cinquecento, nel quale rifluiscono vari beni di Lorenzo, l’opera non è mai ricordata. È il caso quindi di ritenere che in quel periodo essa abbia lasciato Firenze, o in occasione dei noti saccheggi dei 1527 e 1537 o, più tardi, nell’ambito di più distesi rapporti diplomatici e famigliari. Trattandosi di un prezioso frammento, proporrei la connessione con Punica testa bronzea di Giove di di­mensioni leggermente superiori al naturale ehe sia conser­vata e ehe presenti notevoli asimmetrie nei tratti dei volto: il Giove dei Kunsthistorisches Museum di Vienna (Pl. LIX) (Sacken 1866, 13, táv. IV; Schrader 1911, 81, taw. 1—2; Curtius 1925, 8; Curtius 1931, 44; Lippold 1950, 212, 7). Esso proviene dalla prestigiosa collezione ehe (14) Mi limito a citare un punto di partenza nelPinventario dei beni di Lorenzo il Magnifico del 1492 (Müntz 1888, 79) e delle collezioni di Cosimo I (Conti 1893, 171; Müntz 1895,51). Parciduca Ferdinando aveva composto nel suo castello di Ambras, presso Innsbruck, nella seconda metà del Cin­quecento (Sacken 1855, 21—22;Primisser 1819,176—177, n. 236; Luchner 1958,118,137). La sua “Wunderkammer” comprendeva anche una sezione di bronzi antichi che la tradizione diceva esser in gran parte frutto dei saccheggi in Italia del 1527, prima quindi degli stretti rapporti di pa­rentela che legano Parciduca con la famiglia dei Medici (Primisser 1819, 176, 178, n. 1). La nuova provenienza, anche se l'origine senese è finora „collezionistica” e non “archeologica”, puö contribuire al suo problema storico. Sono lontani ormai i vecchi ten­­tativi dello Schrader di un collegamento diretto con i pro­blem» fidiaci, in particolare con lo Zeus di Dresda (Schrader 1911). Già il Curtius ha esposto una critica in merito, ri­­tenendo 1’opera prodotto classicistico di periodo neroniano e, in un secondo momento, inserendola in un problema di copie che tuttavia non ci sembra sussistere e quindi convin­cere^5). Resta solida invece la convinzione di ambedue gli studiosi che, per correggere le asimmetrie frontali, la testa doveva esser vista originariamente di 3/4. Si impone anche la preliminare necessità di un esame tecnico, tanto più che il Kluge espresse a suo tempo il dubbio che la testa non fosse antica, ma una imitazione di periodo rinascimentale o barocco(16). Un giudizio ehe ora dovrebbe fare i conti con una documentazione già del Quattrocento, senza il supporto di un concreto modello antico allora disponibile. L’analisi tecnica di E. Formigli, esposta a seguito del presente lavoro(17), ha già coito una serie di dati utili a questo proposito. La fusione a cera perduta fu eseguita col metodo indi­­retto, tramite almeno due matrici, collegate e coperte dal nastro della Stephane. Ma i singoli elementi interni delle ciocche dei capelli e dei peli della barba non furono ese­­guiti a freddo, dopo la fusione, bensi sulle cere siesse. La testa, fusa a parte, apparteneva certo ad una statua com­pleta : lo dichiarano le tracce di saldatura lungo l’orlo infe­riore di frattura. I bulbi oculari erano inseriti a parte, dal­­l’esterno, mentre le labbra erano state ottenute con l’incro­­stazione di una sottile lamina di rame. La patina, unifor­­memente verde, è forse effetto di un intervento artificiale moderno, dopo un trattamento di pulitura delle superfici ehe dovette essere piuttosto radicale. Una serie di accer­­tamenti ehe escludono l’opéra dalle tradizioni artigianali rinascimentali, collocandola, corne propose il Curtius, nel filone classicistico del primo Impero. L esecuzione dei par­­ticolari interni dei capelli e della barba sulla cera sembra inoltre confortare ulteriormente l'ipotesi ehe non si tratti di una copia meccanica, ma di una libera sintesi di sapore (15) Le teste Boston, Torlonia ed Ermitage, considerate dal Curtius 1931, mancano di ogni coincidenza copistica stretta col nostro esemplare. (16) Il dubbio, espresso oralmente, è riportato dal Curtius 1931, 44. (17) Un particolare ringraziamento ai Dott. W. Ober­­leitner e K. Gschwantler del Kunsthi­storisches Museum di Vienna che hanno facilitato in ogni modo lo studio e l’analisi tecnica del bronzo al Sig. E. Formigli del Centro di Restauro della Soprintendenza Archeologica della Toscana a Firenze. 121

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