Fitz Jenő (szerk.): A Pannonia Konferenciák aktái IV. Bronzes Romains figurés et appliqués et leurs problemes techniques - István Király Múzeum közelményei. A. sorozat 27. A Pannon konferenciák aktái 4. (Székesfehérvár, 1984)

L. Beschi: Bronzi antichi nel Rinascimento Fiorentino: alcuni problemi

Alba Regia, XXI, 1984 L. Beschi BRONZI ANTICHI NEL RINASCIMENTO FIORENTINO: ALCUNI PROBLEMI Prima delle grandi scoperte ercolaaesi del Scttecento, nessun centro del collezionismo di bronzi antichi ebbe il significato di Firenze(l). Forse perché in nessun altro centro agiva, come a Firenze, la spinta della produzione artistica della Rinascenza toscana che, già partendo da premesse medioevali, aveva dato alla plastica bronzea un valore di eminente prestigio. Nel corso del Quattrocento si quali­­fica in tal senso la produzione di Ghiberti, Donatello, Ver­rocchio e Pollaiolo e nel Cinquecento quella di Cellini, Sansovino e Giambologna. Proprio nelle botteghe di questi artisti nascono, come è noto, le prime collezioni di bronzi antichi: spesso semplici frammenti — come la testa bron­zea di vecchio e i due “ignudi di metallo” di Jacopo della Quercia, o la gamba di bronzo del Ghiberti, ammirata più tardi dal Michelangelo (Milanesi 1854, II, 189; Schlos­ser 1941, 123, n. 49; Weiss 1969, 180—181; Lorenzo Ghi­berti 1978, 559; Reinach 1902, 60, 224), frammenti ehe stabiliscono un rapporto di studio dell’antico sia sul piano tecnico ehe su quello formale. Ma le collezioni più articolate e importanti si formano alla corte dei Medici già nella fase quattrocentesca di Lo­renzo il Magnifico e, maggiormente, in quella del Grandu­­cato toscano, a partire dalla metà circa del Cinquecento, con Cosimo I(2). I problemi relativi alla formazione e alia storia di queste collezioni ehe uniscono, spesso indistin­­tamente, il bronzo antico a quello moderno, sono vari e numerosi. Solo uno studio complessivo, come stiamo pro­­grammando sulla base di uno spoglio integrale del vasto (1) Per la gentile concessione di studio e di materiale fotogra­­fico ringrazio vivamente il Soprintendente archeologo della Toscana, prof. F. Nicosia, la Direzione del Gabinetto Foto­gráfiát e della Biblioteca della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Firenze, la Direzione delPArchivio di Stato di Firenze, e il Direttore dell’Antikensammlung del Kunsthist. Museum di Vienna, dr. W. Oberleitner. (2) Sul collezionismo di antichità di Lorenzo il Magnifico è in preparazione un mio lavoro nel quale si troverà il detta­­gliato apparato documentario relativo ad alcuni monumenti qui considerati. Sul collezionismo di Cosimo I e dei suoi discendenti, cfr. recent.: Firenze 1980; Le Arti 1980. materiale archivistico e di specifiche analisi tecniche e for­mali, pótra farli emergere nel loro significato. Vorremmo tuttavia fin d’ora richiamare l’attenzione su alcuni casi, su alcuni problemi indicativi. Recupero di provenienze, considerazioni formali e antiquarie, studio e imitazione dell’antico, interventi di restauro sono le fila di un discorso ehe non puô non coinvolgere i due versanti dell’archeologia e della storia dell’arte rinascimentale. Un primo caso. Al nome di Firenze e alla produzione di monumenti equestri di Donatello e Verrocchio sono state collegate, talvolta, due teste di cavallo. La prima è una protome colossale, alta quasi due metri, oggi nel Museo Nazionale di Napoli (PL LVI, 1 )(3). Fu donata nel 1471 dal ventiduenne Lorenzo dei Medici al conte Diomede Carafa di Napoli, di cui si conserva la lettera di ringrazia­­mento, purtroppo senza alcun accenno ad una provenienza s “archeologica” o ad una paternità artistica (De Rinaldis 1911, 244, n. 6). Mezzo secolo dopo, attorno al 1520, inizia una tradizione secolare ehe indica Donatello come autore dell’opera (ibid., 244)(4). Solo nel 1911, Aldo De Rinaldis, sulla base di una attenta analisi comparativa tra la testa Carafa e il cavallo del Gattamelata (PI. LVI, 2), espunge l’opera dalla produzione di Donatello (ibid., 249—251 ; Janson 1957,195). I rapporti tra il capolavoro di Padova e la colossale protome napoletana non sono di fraternità stilistica quanto piuttosto di una affinità di im­pianto che potrebbe suggerire, tutt’al più, uno studio di Donatello, cosi fortemente attratto dall’antico. Il De Ri­naldis attribui I’esemplare napoletano all’antichità con una serie di rapporti tipologici e stilistici ehe richiedono tutta­(3) Napoli M. N. 4887 : il monumento attende ancora un’analisi integrale per chiarire i suoi numerosi problemi. Vedi, per ora: De Rinaldis 1911, 241—260; Magi 1971-72, 214; I cavalli 1981, 175; Galliazzo 1981, 203. (4) L’attribuzione donatelliana è documentata a partire da An­tonio Billi (1516—1530), riappare nella seconda edizione delle Vite del Vasari — dopo che nella prima edizione ne era stata affermata l’antichità — e continua in saggi e registra­­zioni di inventario fino a tutto l’Ottocento. 119

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