Hittudományi Folyóirat 2. (1891)

Csicsáky Imre: Dante theologiája

487 Io fui di Montefeltro, io son Buonconte, Giovanna, o altri non ha di me cura, Perch’ io vo tra costor con basso fronte. Ed io a lui: Qual forza. o quäl ventura Ti traviö si fuor di Campaldino, Che non si seppe mai tua sepoltura ? Oh, rispos’ egli appié del Casentino Traversa un’ acqua che ha nome l’Archiano Che sopra l’Ermo nasce in Apennino. La’ ve il voccabol suo diventa vano Arriva’ io forato nella gola Függendő a piede e sanguinando il piano. Quivi perdei le vista, e la parola, Nel nome di Maria fini, e quivi Caddi, e rimase la mia came sola. Io diró il vero, e tu il ridi’ tra i vivi: L’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno, Gridava : 0 tu dal elei, perché mi privi ? Tu te ne porti di costui l’eterno Per una lagrimetta che il mi toglie, Ma io faro deli’ altro altro governo.1 Nemsokára ezután látja a költő a bűnbánók lelkeit, amint a virágokon s a völgy pázsitján a Salve Regina-t éneklik. Salve Regina in sül verde e in su fiori Quivi seder cantando anime vidi, Che per la valle non parean di fuori.‘2 Míg ez a hymnus a siralom-völgyéből való kiszabadulás forró vágyát fejezi ki, addig az üdvözültek a Paradicsomban a Regina coeli öröm-éneket zengedezik, Oly édesen dallván Regina coeli, Hogy e gyönyört soh’ sem lehet felednem. Regina coeli cantando si dolce, Che mai da me non si parti il diletto.8 A bűnhődő lelkek sz. Mária kiváló erényeit látják meg- örökítve maguk előtt. így pl. alázatosságát márványban fel­1 Purg. V, 88—108. 8 Purg. VII. 82-84. « Par. XXIII. 128—129

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