Folia Theologica et Canonica 5. 27/19 (2016)

RECENSIONS

RECENSIONS 267 compissero la maggiore età pur di giustiziare, come Péter Mansfeld (cf p. 190), trasgredendo più volte la regola generale giuridica del divieto di una reformatio in peius delle sentenze. Solo per poco, rifugiandosi nell' ambasciata statuniten­se lo stesso 4 novembre, sfuggì ad ulteriori dure pene, se non al patibolo, il Card. Mindszenty: il suo esilio in patria sarebbe durato per quasi 15 anni. A lungo termine la Storia ha dato ragione a Nagy: la solenne cerimonia del 16 giugno 1989, riabilitazione sua e di tutti i rivoluzionari, è stata l'anticipata caduta del ‘muro di Berlino’ ungherese, cioè la svolta decisiva verso il passag­gio ad uno stato democratico e di diritto (cf pp. 243-55). L' A. dedica un ultimo importante capitolo (cf pp. 257-307) al ruolo, purtroppo nefasto, svolto in questa vicenda biografica da Togliatti, segretario generale del PCI, esponente di primo piano del comunismo internazionale, intervenuto due volte in modo diretto a sollecitare il decisivo intervento repressivo sovietico nei confronti del­la Rivoluzione e di Nagy con una sua lettera al PCUS del 30 ottobre 1956 (cf p. 257) e poi ad approvare cinicamente la sua condanna a morte (cf p. 298), compattando intorno a sé, tranne limitate proteste di intellettuali, seppur signi­ficative come il ‘Manifesto de 101’ (cf p. 265), e di uomini come A. Giolitti, F. Onofri, E. Reale, tutto il PCI, compreso un allora giovane funzionario di Caser­ta dal lungo e prospero futuro politico, Giorgio Napolitano (cf pp. 274-278), al quale la lunga vita darà modo di rivedere profondamente i giudizi di quei gior­ni. Il volume è utilmente completato da un'ampia sezione di schede biografiche dei principali personaggi (cf pp. 311-58) e da un ricco apparato di note e bibli­ografico, che evidenzia come l’A., non conoscendo l’ungherese ed il russo, si sia basato su fonti sussidiarie (citando quelle primarie attraverso queste), specie sulle ricerche del principale biografo di Nagy, lo storico ungherese János M. Rainer, ampliate con quelle di molti esponenti di primo piano dell’ emigrazione ungherese, come Francois Fejtő, Tibor Méray ed altri ancora. Riguardo questo ampio affresco che, con la vita di Nagy, viene ad illustrare anche la storia dell’Ungheria e del comunismo europeo fino al 1956, evidenzi­ando grandezze e lacune, limiti ed eroismo del suo personaggio e dei pericoli insiti in ogni ideologia, dobbiamo purtroppo lamentare la mancanza di un appa­rato iconografico, che molto avrebbe giovato ad una migliore percezione dello scorrere degli avvenimenti descritti, specie quelli rivoluzionari. Bruno Esposito, O.P.

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