Folia Theologica et Canonica 4. 26/18 (2015)

RECENSIONS

272 RECENSIONS dent., sess. XXIV, c. 5.; Condì. Trident., sess. XXIV, c. 7; Pio XI, Casti connu- bii). In questa prospettiva prende in esame e critica la prassi in uso presso le Chiese Ortodosse di concedere l'autorizzazione per un nuovo matrimonio dopo aver sciolto il precedente (cf pp. 35-36; 51). Quindi FA. affronta il tema dell’indissolubilità del matrimonio sacramenta­le, rato e consumato, sul quale neppure la Chiesa ha alcun potere e che costitu­isce un caposaldo della pastorale chiamata ad evitare immobilismo, cambia­mento, ma allo stesso tempo impegnata sempre di più in una fedeltà creativa (cf pp. 45-54). Successivamente prende in esame il significato ed il valore dell’amore, dell’indissolubilità e della validità del matrimonio sacramentale. In questo contesto accenna, e purtroppo non sviluppa, il ruolo della fede per la validità del sacramento del matrimonio, tema toccato anche durante la III As­semblea Generale del Sinodo dei Vescovi: “Secondo altre proposte, andrebbe poi considerata la possibilità di dare rilevanza al ruolo della fede dei nubendi in ordine alla validità del sacramento del matrimonio, tenendo fermo che tra bat­tezzati tutti i matrimoni validi sono sacramento” (Relatio Synodi, 48). A nostro sommesso avviso, questo aspetto è l’unico che FA. doveva forse sviluppare vista la confusione di cui è al presente oggetto. Infatti, pensare a ritenere la fede criterio per stabilire la validità di un matrimonio sacramentale, ci sembra che vada contro la realtà oggettiva ed in modo particolare andrebbe a creare più problemi di quelli che intende risolvere. Per queste ragioni ci sembra opportu­no dire qui qualcosa al riguardo. In particolare, all’introduzione di una specifica forma ad validitatem ineren­te alla volontà di sposare nel Signore (e dunque una forma liturgica attinente al­la fede personale dei nubendi), risulta assolutamente pregiudiziale la soluzione del problema dottrinale se la fede sia obiettivamente ad substantiam del sacra­mento del matrimonio, ove non intendiamo solo un problema di validitas giuri­dica, ma di vera e propria sostanza sacramentale, sulla quale, però, la Chiesa non ha alcun potere. Se tale eccezione apparisse legalistica, occorre conside­rare che invece essa afferisca massimamente all’ambito pastorale. Non risolto difatti il problema dottrinale se la fede sia ad substantiam del sacramento e dunque essenziale nell’intendo sacramentalis, l’introduzione, con una legge meramente ecclesiastica positiva, di una qualsiasi forma liturgica ad validita­tem inerente alla volontà di sposare nel Signore, potrebbe causare un’errata percezione sia della vera sostanza sacramentale, sia della necessaria intenzione sacramentale specificamente riferita al matrimonio. Appare poi segnatamente legalistica ed esclusivamente giuridica la soluzione prospettata, che incidereb­be difatti solo sul piano giuridico della formula liturgica ad validitatem (o di qualsiasi dichiarazione d'intenti da collocare in altro momento) e non già su quello, come detto, non approfondito e risolto della sostanza sacramentale e dell’intenzione necessaria, appunto, ad substantiam. Si aggiungerebbe inoltre un’ulteriore occasio peccati per coloro che, seppure non completamente ben

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