Folia Theologica et Canonica 4. 26/18 (2015)

IUS CANONICUM - Nicolás Alvarez de las Asturias, 11 Codice di Diritto Canonico di 1983: sua storia e nella storia (Considerationi al margine sulla quaestio del contributo del Diritto Canonico alla vita della Chiesa)

IL CODICE DI DIRITTO CANONICO DI 1983: SUA STORIA E NELLA STRORIA. .. 249 più o meno teologico o più o meno tecnico, ma piuttosto se lo strumento giuri­dico studiato, che è il Codice del 1983, stia rendendo realmente possibile l’esercizio della giustizia nella chiesa, e se, pertanto, il diritto stia contribuendo effettivamente alla salus ammarimi. Le due immagini, usate dal Legislatore per caratterizzare il nuovo codice dovrebbero essere studiate alla luce di questa domanda fondamentale. È chiaro che il contenuto specifico della giustizia nella società ecclesiale de­riva dalla natura stessa della Chiesa, dal suo mistero. Pertanto, il progresso del­la Chiesa nella sua autocomprensione influisce significativamente sul diritto canonico; da qui scaturiscono semplici considerazioni: per sapere cosa è giusto nella Chiesa, è essenziale sapere cos’è la Chiesa; inoltre, sappiamo che cosa è la Chiesa, dalla sua comprensione teologica; infine, la sua autocomprensione in ogni momento storico, si riflette nel magistero. Quello che invece rimane non scontato è se la categoria di “traduzione” è quella che rispecchia meglio il com­pito attribuibile al canonista. Infatti, se specifico del canonista è dire “ciò che è giusto” e, per dirlo, deve conoscere la natura della Chiesa, allora è necessario chiedersi quale sia lo spe­cifico dello sguardo del canonista sulla Chiesa. Al canonista spetta di trovare nella realtà misterica della Chiesa, le relazioni di giustizia derivanti da Essa e individuare i modi perché queste possano essere vissute. Come in altre società, alcune di queste relazioni hanno un fondamento naturale (o soprannaturale, nel caso della Chiesa), mentre altre solo uno positi­vo. Queste relazioni devono poter esser vissute, e per questo, le une e le atre de­vono essere tutelate efficacemente. Per adempiere questo compito non sembra sufficiente “tradurre”. Primo, per­ché ci sono componenti essenziali del linguaggio teologico che sono semplice- mente intraducibili secondo lo specifico del diritto canonico; solo per fare un esempio: come tradurre la “mutua interiorità” tra la Chiesa universale e la parti­colare di cui parla la Communionis notio, quando lo specifico del diritto è prop­rio stabilire relazioni, per mezzo di distinzioni?21. Se inoltre si assume in tutta la sua radicalità la categoria di traduzione, la funzione del diritto canonico e del canonista verrebbe irrimediabilmente svalu­tata. “Traduttore, Traditore”, recita con ragione l’Adagio italiano. E quindi non è strano che coloro che così considerano il compito del diritto canonico, non si impegnino nel conoscerlo, poiché chi è impegnato nello studio scientifico della teologia, non accetti una sua “volgarizzazione” (è forse questo, il motivo dell’­ignoranza manifesta del diritto canonico, di molti teologi?). Quando la scienza canonica viene spiegata in termini di “traduzione”, sembra destinata a oscillare tra la teologia e la mera tecnica, senza finire di trovare il 21 Cf. Congregazione della Dottrina della Fede, Litt. Communionis notio (28 mai. 1992) 9.

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