Folia Theologica et Canonica 4. 26/18 (2015)

IUS CANONICUM - Bruno Esposito, O.P., La fede come requisito per la validitá del matrimonio sacramentale?

186 BRUNO ESPOSITO, O.P. zione della giustizia nella Chiesa che altro non è che servizio di carità. Alla fine si tratta di entrare e vivere in un’ottica di conversione nei confronti di quanto ci chiede Cristo per la nostra vera felicità che mai potrà essere a spese degli altri e della verità: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6, 68). Inoltre, siamo convinti, alla luce soprattutto di un’esperienza acquisita in quasi trent’anni di ministero sacerdotale, svolto in modo particolare nell’amministra­zione del sacramento della Riconciliazione in varie parti del mondo, che la solu­zione pastorale dei tanti problemi che toccano oggi il matrimonio e la famiglia non si avrà né perseguendo la via della cieca applicazione dei principi (in un’ot­tica di esclusione) né tantomeno con "popolari” accomodamenti di questi ovve­ro con indebiti compromessi (in un’ottica di letale o in ogni caso sterile buonis- mo) che tradiscono il tesoro indicatoci da Cristo58, ma con un 'attenzione, una vicinanza ricolma allo stesso tempo di verità e di carità (cf Ef 4, 15) alle singole persone ed alle situazioni specifiche59, che in un’ottica di fede dovranno essere affrontate sempre come un’occasione di grazia per tutte le persone interessate, nessuna esclusa, in ogni caso da parte dei sacerdoti con il cuore del Buon Pasto­re, riconoscendo sempre e comunque che: ”(...) tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno“ (Rm, 8, 28). L’approccio a tali situazioni concrete non potrà non essere che quello evangeli­co della Regola d’oro della carità: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti” (Mt 7, 12), nella profonda convinzione di voler offrire, di proporre con umiltà e fermezza, ciò che è percepito nella fede come il vero bene delle persone e neanche lonta­namente con l’intenzione di voler imporre loro dei pesi. La Chiesa così facendo non ha mai inteso erigere degli steccati per escludere nessuno (anche se indub­biamente alcuni battezzati e sacerdoti possono averlo inteso ed attuato in ques­to senso oggettivamente erroneo), ma ha voluto solo indicare delle vie da per­correre per realizzare pienamente il piano salvifico di Dio rivelatoci da Cristo. 58 Risulta a tutt’oggi illuminante ed istruttivo quanto detto in un’Omelia, durante la santa Messa per le famiglie a Kinshasa (Zaire) il 3 maggio 1980, da san Giovanni Paolo II: “Se il matrimonio cristiano può essere paragonato ad una montagna molto alta che pone gli sposi nelfimmediata vicinanza di Dio, bisogna riconoscere che la sua scalata richiede molto tempo e molta fatica. Ma sarà questa una ragione per sopprimere o per abbassare tale vetta? Non è attraverso ascensioni morali e spirituali che la persona umana si realizza in pienezza e domina l’universo più ancora che per mezzo dei record tecnici e spaziali per quanto ammirevoli siano?” (testo originale in lin­gua francese in Insegnamenti, III. Città del Vaticano 1980. 1075). 59 “(...) per queste persone non può esistere una ‘soluzione generalizzata’, perché ogni storia è di­versa dalle altre, e che in ogni caso una via penitenziale ‘non potrà che riguardare coloro che hanno forti motivazioni legate alla fede’. Nessun cedimento inoltre sull’indissolubilità del mat­rimonio. Anzi, la serietà del percorso proposto ‘potrebbe alla fine diventare una sottolineatura ancor più forte del tesoro prezioso’ che è appunto l’indissolubilità” (Moia, L., Divorziati rispo­sati, quale perdono? "Percorso non breve e personale". Sinodo, i teologi: ipotizzata la “via discrezionale" in nove tappe, in Avvenire [2-VIII-20151 20).

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