Folia Theologica et Canonica 2. 24/16 (2013)
IUS CANONICUM - Forteenth International Conference «Questioni sul tema della provisione canonica degli uffici ecclesiastici» 11th February 2013 Velasio De Paolis, C. S., Il Codice del 1983 ultimo documento del Vaticano II
IL CODICE DEL 1983 ULTIMO DOCUMENTO DEL VATICANO II 235 o lo spirito del Concilio che andava molto al di là della lettera e che doveva segnare il passo, trovarono il loro riflesso anche nella problematica dell’ordina- mento canonico in genere e del Codice in specie. Se il Codice si misurava dalla sua fedeltà al Concilio e alla sua retta traduzione e la massima era nella stessa citazione verbale del Concilio, allora tanto valeva rifarsi direttamente al Concilio, omettendo per quanto possibile lo stesso Codice: sarebbe stato più facile affermare la validità del documento. Di fatto si è introdotta nella prassi della Curia Romana di infarcire i testi, anche quelli disciplinari, di citazioni conciliari, e trascurare quasi completamente il codice. In tal modo non si faceva un buon servizio allo stesso codice. Di fatto i testi conciliari diventavano normativi attraverso il Codice; presentati direttamente essi di fatto conservavano piuttosto una esortazione o direzione dottrinale che la dimensione normativa tipica di un codice o di un ordinamento giuridico. Con l’esaltazione del Codice in riferimento alla sua dottrina, in realtà si correva il rischio di fare accettare il Codice non per il suo valore normativo in sé, ma per la dottrina, per la teologia che esso conteneva, snervando così la forza normativa tipica della stessa disciplina. La teologia corre il rischio pertanto di prendere il posto del diritto o di privare il diritto del suo significato proprio e della sua forza normativa e disciplinare. Il pericolo poteva essere ancora più grave nel contesto della riflessione sullo stesso diritto della Chiesa, in relazione al diritto della società umana. Nella retta ed ottima intenzione di sottolineare le peculiarità del diritto della Chiesa come popolo di Dio, con fini soprannaturali e mezzi soprannaturali, si è imboccata una strada che poi è risultata un vicolo cieco. Se il diritto della Chiesa è un diritto speciale, analogo rispetto a quello civile, si corre il rischio di perdere la caratteristica propria del diritto, ossia quello della obbligatorietà in quanto ordine razionale per il bene comune della stessa comunità. Per di più si è finito per rompere il dialogo necessario tra diritto della comunità umana e diritto della Chiesa, proprio all’intemo di quel dialogo che il Concilio voleva ricomporre tra fede e ragione. Di fatto l’ordinamento canonico, nel clima di questa nebulosità dottrinale, ha avuto sempre meno cultori laici e sempre meno spazio nelle facoltà statali di giurisprudenza. Una rottura di dialogo che ancora oggi soffriamo, perché se si ignora il diritto della Ciesa si finisce per ignorare la chiesa e di valutarla e giudicarla solo in base al diritto civile e da operatori del diritto che poco o nulla sanno della stessa Chiesa. Se nello studio del diritto la teologia finisce per prevalere, il rischio di perdere il senso proprio e specifico del diritto è in agguato. È invalsa l’idea che il diritto della Chiesa sia teologia, mentre l’altro diritto è filosofia. In realtà la base filosofica del diritto non esclude e non può escludere che vi sia uno spazio per la teologia, e viceversa la base teologica non può escludere che vi sia spazio anche per la filosofia. Non è mancato chi ha fatto osservare che altro è la teologia e altro il diritto (Il Presidente della Commissione per la revisione del Codice, S. E. Castillo Lara) e