Folia Canonica 8. (2005)

STUDIES - Lorenzo Lorusso: Il rapporto del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali con le prescrizioni dei libri liturgici. Commento al can. 3 del CCEO

164 LORENZO LORUSSO Nell’azione sacra anche la corporeità è convocata alla lode; e la bellezza, che in Oriente è uno dei nomi più cari per esprimere la divina armonia e il modello dell’umanità trasfigurata, si mostra ovunque: nelle forme del tempio, nei suoni, nei colori, nelle luci, nei profumi. Il tempo prolungato delle celebrazioni, la ripe- tuta invocazione, tutto esprime un progressivo immedesimarsi nei mistero cele­brato con tutta la persona. La preghiera della Chiesa diviene cosi già partecipa- zione alia liturgia celeste, anticipo della beatitudine finale”4. In questo studio cercheremo di mettere in relazione il can. 3 CCEO con gli al- tri canoni dei Codice, con il supporto della Istruzione per l 'applicazione delle prescrizioni liturgiche dei Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (= Istr.), pubblicata dalla Congregazione per le Chiese Orientali5. Il concilio Vaticano II e la liturgia degli orientali Il primo documento pubblicato dal Concilio è stato quello sulla sacra liturgia. La Sacrosanctum Concilium richiama i principi riguardanti 1’incremento e la ri- forma della liturgia, e stabilisée delle norme pratiche. Fra questi principi e queste norme parecchi possono e devono essere applicati sia al rito romano sia agli altri riti (ehe hanno origine dalle tradizioni alessandrina, antiochena, armena, caldea, costantinopolitana), benché le norme pratiche debbano intendersi come riguar­danti il solo rito romano, a meno ehe si tratti di cose che per loro stessa natura si riferiscono anche ad altri riti (n. 3)6. Il Concilio dichiara ehe la Chiesa considera 4 Orientale Lumen, 11, in AAS 87 (1995) 757. 5 Congregazione per le Chiese Orientali, Istmzione per l'applicazione dette prescri­zioni liturgiche det Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, 6 gennaio 1996, Città del Vati­cano 1996. 6 “Ciô ehe di fatto è avvenuto, con le opportune eccezioni, è stata Tintroduzione automati- ca in alcune liturgie orientali di elementi ehe erano il frutto della nuova riforma della Chiesa latina. Un esempio esplicito è stato l’abbandono della tradizione di celebrare rivolti verso oriente. Essa è penetrata in più di una Chiesa orientale cattolica, senza ehe vi sia stata un’esplicita riflessione e mai comunque, nelle Chiese patriarcali, con il ricorso a quella reco­gnitio da parte della Santa Sede, esplicitamente richiesta dal Codice. Accanto a ciô, si è conti­nuato a costruire edifici sacri che in molti casi non riflettono la struttura specifica delle chiese dei proprio rito, e medesima sorte hanno subito gli addobbi liturgici, creando un serio squili- brio nell’armonia tra ambiente e atto sacro. Nuove melodie sono state acquisite, spesso impor­tate da alcuni Paesi dei Medio Oriente, e riconosciute come più adatte alforecchio contempo­raneo, anche se non sempre di ottima qualité, facendole convivere con i canti tradizionali della propria Chiesa, relegati soprattutto al molo dei diacono o dei coro. Si è poi contribuito a sfron- dare o addirittura ad abolire quegli elementi ehe, tradizionalmente, costituivano un invito al sacro, inteso come luogo dove dimora l’inaccessibile ehe si fa Came e Sangue nell’Eucaristia: sono dunque talora sparite iconostasi e veli, i paramenti sono stati semplificati, le concelebra- zioni sono state modellate sullo stile romano, compresa l’essenzialità minimalista degli abiti

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